Il 9 e il 14, nel cuore di quel mese d’agosto nel quale la gente fa di tutto per dimenticare gli altri undici mesi, troppo spesso segnati da un lavoro non gradito o da una solitudine non voluta. Nel cuore dell’estate, quando “fratello sole” sfacciatamente ti picchia e ti obbliga a difenderti da lui, “fonte di vita per le sue creature”.
Sembrerebbe il momento meno adatto per tornare a riflettere su Auschwitz, eppure la Chiesa lo fa proprio allora, per due volte, il 9 e il 14, nell’afa rovente resa ancora più insopportabile dal frenetico desiderio di evadere. “Se c’è stato Auschwitz, allora non può esserci Dio”: no, non è questa la chiave giusta, perché ad Auschwitz, nel mese di agosto di tanti anni fa, hanno dato la loro testimonianza a Dio, uno un anno prima, l’altra l’anno dopo, Edith e Massimiliano. E quella frase, che si è sentita pronunciare troppo spesso nell’ultimo scorcio del XX secolo, ha senso solo se prima si mettono fuori gioco Edith e Massimiliano; solo in questo caso quell’epitaffio (“Se c’è stato Auschwitz, allora non può esserci Dio”), all’interno delle durissime tragedie di due guerre mondiali, nel contesto della nascita e del tramonto delle ideologie totalitarie, dopo le aberrazioni del nazismo, dopo il genocidio degli ebrei, può avere un senso.
Ma dal fondo più buio della notte un volto riemerge, una voce, un nome: quello di Edith Stein, la religiosa carmelitana morta ad Auschwitz in una camera a gas nell’agosto del 1942. Una ebrea. Una filosofa. Una monaca. Una martire. Convertitasi dall’ebraismo al cattolicesimo attraverso il filtro dell’ateismo, e passata dalla speculazione filosofica al chiostro dopo essere stata un giorno “folgorata” dalla lettura della vita di santa Teresa d’Avila.
E prima ancora, dal fondo più buio della notte emerge il volto di Massimiliano Kolbe che nel 1941, sempre ad Auschwitz, scelse di far parte del gruppo dei dieci condannati a morire di fame per rappresaglia contro la fuga di un prigioniero.
Per due settimane, Massimiliano tenne su il morale dei suoi compagni di sventura, convincendoli a cantare che forse quella non era proprio una sventura. Dopo due settimane erano vivi ancora in quattro, e cantavano ancora con l’ultimo filo di voce. Li finirono con un’iniezione di acido fenico.
Edith, davanti alla camera a gas, bacio la sorella per l’ultima volta, la prese a braccetto. Disse: “Andiamo!”.
Andiamo Edith, andiamo Massimiliano. Andiamo nella calura d’agosto che arroventa l’aria, come l’amore di Cristo ha arroventato la vostra anima. Andiamo incontro a Colui che ci ama, ché non sa far altro che amare. Incontro a Colui che ci aspetta, perché aspettare è tutto quanto può fare per noi.