Le diocesi umbre attendevano con trepidazione e speranza le notizie sulla “fase 2”, considerando che l’Umbria è una delle regioni italiane meno colpite dal contagio da Coronavirus.
Dopo il nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri e la nota della Conferenza episcopale italiana, diffusa il 26 aprile, abbiamo chiesto un commento a mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente dei Vescovi umbri.
Mons. Boccardo, un po’ di delusione?
Delusione e anche amarezza. A seguito dei dialoghi che si erano condotti tra la Segreteria generale della Cei, il ministero dell’Interno e Palazzo Chigi, noi pensavamo che ci sarebbe stata una formula, non dico l’apertura totale, però una formula che permettesse ai credenti di partecipare alla celebrazione dell’Eucarestia.
E invece questo decreto è stato un po’ come una doccia fredda se vogliamo, anche un po’ umiliante, perché si parla di celebrazioni là dove si parla del bingo. Sono due cose distinte. Secondo me c’è una idea di fondo che è sbagliata: nella vita quotidiana ci sono delle cose che sono indispensabili, necessarie, certamente il supermercato, come altri negozi, altri servizi, mentre la vita spirituale e la celebrazione dei sacramenti non è indispensabile, se ne può fare a meno. Questo è l’errore di fondo che poi genera queste prese di posizione, queste decisioni.
Per questo la Conferenza episcopale italiana ha emanato quella nota che qualcuno ha definito durissima. Io direi una nota realistica: si dice che noi non possiamo vedere limitato l’esercizio del culto semplicemente per delle ragioni forse ideologiche, quando da parte della Conferenza episcopale c’era e rimane la piena disponibilità a mettere in atto nei luoghi di culto anche quelle misure di sicurezza e di garanzia sanitaria che ci verranno indicate dalle autorità competenti.
Uno degli argomenti di discussione, è proprio questo: le parrocchie riuscirebbero a garantire le condizioni di sicurezza per far sì che i fedeli entrino in chiesa?
Non possiamo dire sì oppure no. Cominciamo a riflettere su quali parrocchie, eventualmente lo potrebbero fare. E’ possibile che non tutte le parrocchie abbiamo i mezzi, gli strumenti per garantire un determinato standard di sicurezza così come viene richiesto. Benissimo, allora diremo che alcune parrocchie lo possono fare, altre non lo possono fare.
Torno a ripetere, c’è una responsabilità che incombe su tutti i cristiani: essere collaboratori per il bene comune. E questo richiede a volte anche dei sacrifici. Allora vediamo questo dove si può fare e dove non si può fare. Non si può generalizzare né in un senso né nell’altro.
Anche perché la vita cristiana, oltre alla celebrazione eucaristica domenicale o feriale, prevede anche altri momenti che attualmente non sono consentiti…
Questo è un aspetto importante. Sembra che senza la messa non ci possa essere vita cristiana, e questo non è vero. È vero che la messa, con l’Eucarestia, è il culmine della vita cristiana. Però la vita cristiana non è solo l’Eucarestia.
La vita cristiana è l’ascolto orante della parola del Signore, è il dialogo con Dio nella preghiera personale e comunitaria, è l’opera della solidarietà, dell’accoglienza, della carità, della riconciliazione. Sono tutti elementi che costituiscono il percorso della vita cristiana. Elementi che si vivono a livello personale interiore, ma si vivono anche in una dimensione comunitaria.
Per cui, non c’è la messa ma non ci sono neanche le altre occasioni di incontro, di condivisione, di dialogo, di ricerca comune. Dunque lo sguardo deve essere ampio, deve prendere e deve abbracciare tutte le diverse modalità di alimento del cammino del Vangelo nella vita degli uomini.
Francesco Carlini
Nota della redazione: il 30 aprile, tra Governo e Cei si è trovato l’accordo per la celebrazione delle esequie. Qui la notizia sul sito della Cei.