di Daris Giancarlini
Gli anni sulle spalle e il fatto di aver trascorso l’infanzia in un piccolo paese di campagna mi consentono di raccontare cose che forse molti ignorano. Per esempio succedeva che, fatti i compiti, di pomeriggio si andasse in giro da una casa all’altra dei compagni di scuola.
Ebbene, se questo accadeva all’ora della merenda, non c’era madre o nonna che, di fronte all’arrivo imprevisto di un gruppetto di bambini, non preparasse pane e qualcosa (marmellata, ma anche solo olio o zucchero) per tutta la compagnia, in modo che nessuno si sentisse escluso o emarginato.
Questa era usanza comune, succedeva in ogni casa, anche in quella delle famiglie meno abbienti. Mi è tornata in mente tutto ciò leggendo dell’asilo di Lodi, dove i bambini stranieri sono stati esclusi dalla mensa frequentata dai loro coetanei italiani. Per questioni relative alla mancata possibilità di dimostrare il livello di reddito delle loro famiglie di origine.
Ebbene, non mi interessano né la connotazione politica dell’episodio (la sindaca è della Lega) né le polemiche che lo hanno accompagnato: quello che mi salta agli occhi è il suo valore emblematico di un periodo storico in cui il senso di umanità che aveva contraddistinto il vivere sociale dei nostri nonni e genitori è ad un passo dall’essere perduto.
Per fare posto a che cosa, non lo ho ancora capito. E non basta neanche la colletta con la quale sono stati messi insieme 60 mila euro per consentire a quei bambini di tornare a mensa, a riparare un danno che li segnerà a vita: quello di averli fatti sentire, una volta di più, differenti ed emarginati.