«I migranti e noi – Possibili buone pratiche di accoglienza”: questo il tema dell’incontro che si è svolto il 25 maggio presso la biblioteca dell’abbazia di Montemorcino a Perugia, organizzato dal Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale) e dall’Azione cattolica diocesana. Meritevoli di attenzione i relatori della giornata, impegnati in prima linea nel lavoro di accoglienza: Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, Stella Cerasa, operatrice del progetto accoglienza profughi della Caritas perugina-pievese, ed Edi Cicchi, assessore al Sociale del Comune di Perugia.
Dopo i saluti di Carlo Cirotto, presidente del Meic perugino, e l’introduzione ai lavori di Luciano Tosi, docente di Relazioni internazionali presso l’ateneo cittadino, l’incontro è proseguito con una disamina generale dei flussi migratori e delle cause che li determinano. Lo sguardo si è poi focalizzato sul dramma dei “viaggi della morte” che hanno trasformato il mare nostrum in un’immensa bara. E sulla incapacità europea e italiana di arginare il mercimonio di vite umane da parte dei mercanti di morte.
Una carneficina che potrebbe essere in parte arginata con i “corridoi umanitari”, ha spiegato Impagliazzo nell’illustrare il progetto-pilota ideato e voluto dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Tavola valdese e dalla Federazione delle comunità evangeliche d’Italia. Il protocollo attivato con il Libano per l’accoglienza dei profughi siriani e con il Marocco per i profughi dell’Africa subsahariana – sottoscritto nel dicembre 2015 con i ministero degli Esteri e degli Interni -, mira a cancellare l’odissea dei “viaggi della speranza” a bordo di fatiscenti barconi, facendo raggiungere il suolo italiano con voli di linea.
I beneficiari sono individui in “condizioni di vulnerabilità” (vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati) ai quali vengono rilasciati visti umanitari e la possibilità, poi, di presentare domanda di asilo. Da precisare che la concessione dei visti è subordinata a scrupolosi controlli da parte delle autorità italiane in loco (Ambasciate e Consolati): una sicurezza per i migranti, ma anche per chi accoglie. E una volta in Italia – ha continuato Impagliazzo -, i profughi sono ospitati in appartamenti e piccoli centri di accoglienza, e accompagnati in percorsi di inserimento linguistici, scolastici e lavorativi. Ad oggi, oltre 800 migranti hanno beneficiato del programma.
Non solo numeri, ma persone con volti e nomi reali, vittime di infinite sofferenze. Il progetto, totalmente finanziato dai soggetti che lo hanno promosso, non ha costi per lo Stato italiano ed è un unicum in Europa. Ma replicabile ovunque, perché un altro modo di migrare – per vie sicure e legali – è possibile. E auspicabile.
Agli sbarchi segue poi l’accoglienza sul territorio. Altra nota critica. Lo sa bene l’assessore comunale Edi Cicchi che, per conto del Comune di Perugia e insieme alla prefettura e ai soggetti gestori, ha seguito e segue oltre 1.400 richiedenti asilo ospitati in 140 strutture, appartamenti e strutture comunitarie. L’assessore ha ribadito la premura delle istituzioni nell’evitare la creazione di aree ghettizzanti, con alte concentrazioni di immigrati. Ciò nel rispetto dei migranti e dei residenti. E preferire, al contrario, la dislocazione di 5-6 profughi nei centri abitati, in modo da favorire l’integrazione nel tessuto sociale.
Esempi positivi in tal senso non mancano. Piccoli paesi hanno “adottato” nuclei di migranti, inserendoli nella vita della comunità e coinvolgendoli nelle attività delle Pro loco. Una responsabilizzazione dei cittadini che ha generato un prezioso sistema integrato di accoglienza. La sfida principale resta, tuttavia, quella di organizzare al meglio i tempi di chi vede la propria vita “sospesa” in attesa di documenti.
Per questo è nato il progetto “Perugia In”, rivolto all’impiego di profughi in lavori di volontariato di pubblica utilità, come la manutenzione e la pulizia di aree verdi. Muniti di casacche e ramazze, gli ospiti si occupano del decoro dei parchi pubblici presenti nel territorio cittadino, da Solfagnano a Fontignano: iniziativa preziosa per la collettività e per la stessa dignità dei migranti. Per favorire l’occupazione, sono inoltre allo studio dell’Amministrazione progetti europei per corsi di formazione professionale inerenti la lavorazione del cachemire e del cioccolato. Le politiche di inclusione, dunque, non mancano. Ora anche i cittadini sono chiamati a fare la loro parte.
Opinione condivisa anche da Stella Cerasa, assistente sociale della Caritas. L’organismo diocesano ospita attualmente circa 100 profughi di diverse nazionalità e credi religiosi. Le difficoltà di gestione non mancano. Le diffidenze da superare sono numerose, ma tuttavia una convivenza collaborativa è possibile. L’operatrice lo ha sperimentato osservando la naturalezza con cui i bambini perugini accolgono i nuovi compagni “stranieri” nelle loro classi. Menti e cuori aperti, pronti a un’integrazione multiculturale.
Ha raccontato delle iniziali barriere e diffidenze di vicini sospettosi, che si sbriciolano alla vista di giovani stranieri alle prese con la messa a dimora di 32 mila piantine di pomodori: improvvisati contadini che sottraggono all’incuria appezzamenti incolti e abbandonati. Ha narrato del prodigio delle giovani nigeriane che, guidate da signore perugine, sono in breve diventate esperte tricoteuses. E ora sferruzzano “coperte della solidarietà” o abitini per i bambini prematuri dell’ospedale perugino. Neanche la difficoltà della lingua le ha fermate.
A riprova che non esiste barriera culturale che non si possa abbattere.