Rispetto a dieci anni fa l’agricoltura umbra conta meno aziende, ma più grandi. E per l’80% sono gestite in famiglia. I dati dell’Istat presentati la scorsa settimana descrivono un settore in evoluzione. “Il confronto con i dati del 2000 va fatto con cautela per le differenze nelle definizioni dell’universo di riferimento” ha avvertito Fernanda Cecchini, assessore regionale alle politiche agricole, auspacando comunque “l’avvio di un percorso di costruzione di adeguate politiche nazionali, sapendo che non tutto può essere demandato alla Pac e che il governo italiano deve concorrere alla definizione della politica agricola comune salvaguardando in primo luogo le peculiarità di ogni singola regione, con l’obiettivo di garantire, oltre alla tutela e qualità delle produzioni, un reddito certo a chi fa agricoltura”.
“Alcuni elementi emersi dalla rilevazione, come la diminuzione dell’età media dei produttori, l’aumento delle quote rosa, l’incremento al ricorso in affitto dei terreni, già disegnano l’agricoltura umbra del futuro” ha detto Lucio Caporizzi, direttore regionale alla programmazione e competitività dell’Umbria. I dati presentati da Sabrina Angiona, Istat – Umbria, e Marta Scettri del Servizio statistica ufficio censimento Regione Umbria, descrivono un comparto formato da 36.201 aziende agricole e zootecniche di cui il 72,6% nella provincia di Perugia ed il 27,4% in quella di Terni. Sono 15.834 aziende in meno rispetto al censimento del 2000. Una meno 30,4% cui corrisponde una diminuzione della superficie agricola totale (SAT) regionale del 14,4% e della superficie agricola utilizzata (SAU) del 10,5%. Cifre che si risolvono in un aumento della superficie media delle aziende umbre che passa dai 12,1 ettari del 2000 ai 14,9 ettari del 2010, per quanto concerne la SAT, e dai 7,1 ettari ai 9,1 ettari rispetto alla SAU. La diminuzione del numero delle aziende si concentra principalmente tra quelle con meno di due ettari di superficie totale. Analogo mutamento si registra tra le aziende zootecniche (oggi 4.903) che costituiscono il 13,5% del totale. In questi dieci anni sono diminuite dell’80,1% mentre i capi allevati sono diminuiti molto di meno, segno di un aumento di aziende ad allevamento intensivo. Sui dati è intervenuta l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica in Umbria (AIAB Umbria) che esprime “vera preoccupazione per la perdita di oltre 15000 aziende, quasi un terzo del totale, in soli 10 anni”.
“Sicuramente l’assenza di una vera politica agricola dell’Italia ha pesantemente influito ma – ha commentato Vincenzo Vizioli, Presidente di Aiab Umbria – un mea culpa lo dobbiamo fare anche in regione; per esempio riflettendo sugli effetti di un Piano di sviluppo rurale senza indirizzo politico e sull’incerta politica zootecnica”.In attesa di “ulteriori dati, anche relativi all’agricoltura biologica” Vizioni avverte che una “perdita di aziende significa anche perdita di presenza dell’uomo nelle zone meno vantaggiose ma letteralmente strategiche dal punto di vista dell’assetto idrogeologico e paesaggistico”. Per questo invita ad “aprire subito una riflessione su come intervenire per ridare ossigeno al settore”.