di Tonio Dell’Olio
Da Bari il Medio Oriente si vede bene. Meglio che da altri punti di osservazione. Lo ha intuito Papa Francesco, insieme a un’altra convinzione profonda: solo insieme si scruta meglio l’orizzonte. E se quell’insieme è composto anche da rappresentanti di Chiese e comunità che stanno soffrendo sulla propria pelle, nella propria carne, il dolore acutissimo dei conflitti, la visione è completa. Basterebbe questa immagine, facendo perfino a meno delle parole dei discorsi e delle preghiere che si sono levate dal porto di Bari verso il mondo, a favore della pace in quel lembo di terra che ha cullato i primi vagiti del Salvatore e ha segnato i primi sentieri della storia biblica. Una risposta corale a quanti credono ancora nella forza delle armi e nell’altezza di muri poderosi, nella supremazia degli uni contro gli altri e nelle alleanze di potere che possono garantire le paure ma non la pace. “Non c’è alternativa possibile alla pace – ha detto Francesco a conclusione dell’incontro. – Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro”. Un ecumenismo per la pace e la ricerca comune della pace come via maestra per l’unità. Un’intuizione conciliare che trova realizzazione nel Levante d’Italia ma che è insieme una risposta, evangelicamente discreta, alla convinzione – che oggi appare tanto diffusa – per la quale nemmeno come cristiani siamo tenuti ad accogliere chi scappa dalla guerra, dalla fame o dalla violenza di ogni tipo. Alla signora fotografata nel corso di una manifestazione con un cartello tanto eloquente quanto triste: “Se non vuoi il Crocifisso, torna al tuo Paese”, ha dato risposta nei giorni scorsi un comunicato della Pro Civitate Christiana, cui ha fatto seguito la riflessione del direttore di Avvenire alla replica della signora. Ma l’argomento più persuasivo è certamente l’immagine di quei capi delle Chiese orientali, insieme a colui che per secoli è stato per loro “il Patriarca d’Occidente”, stringersi attorno al bene prezioso e primario della pace. “La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione – ha ricordato il Papa. – Ne è vittima soprattutto la povera gente”. Pace che non è solo assenza di guerra, è “opera di giustizia”, per dirla con la predicazione profetica e con il Concilio. Dal Medio Oriente, per il quale si è invocata la pace, milioni di persone sono state costrette a fuggire verso l’Europa per via della guerra; basti pensare alla Siria e all’Iraq. Popoli fratelli, figli dello stesso mare e dello stesso Padre, tendono la mano, prima ancora che per ricevere un aiuto, per stringere un’altra mano. Il Papa che si sporge verso il Mediterraneo da una regione che vocazionalmente è “arca di pace e non arco di guerra” (don Tonino Bello) ce lo ricorda in maniera efficace, e chiede alle Chiese, plurali in senso ecumenico e in senso locale, di unirsi con speranza, con fede e con carità all’aspirazione a una pace da realizzare a Gerusalemme come a Damasco, a Baghdad come a Beirut. A Bari, accanto all’efficacia della preghiera, della riflessione e del dialogo, non è mancata la parola coraggiosa della denuncia contro i potentati politici ed economici che traggono profitto dai conflitti, contro i costruttori e commercianti di armi, contro chi non rispetta le minoranze e l’identità di Gerusalemme come città madre delle tre fedi. La parola, la preghiera e l’azione adesso passa a noi, chiamati a riconoscere fratelli e sorelle da accogliere nel nome dell’unico Dio e della stessa umanità.