Il discorso del card. Bagnasco al Consiglio permanente della Cei (vedi qui) parla con toni accorati delle vittime della violenza sfrenata e disumana contro i cristiani, ponendo molte domande che rimangono senza risposta, ma comunque “uccisi soltanto perché cristiani” secondo l’affermazione del Papa. Il giorno 24, nella Giornata della memoria dei martiri cristiani, abbiamo ricordato le persone che continuano a versare il sangue per il Vangelo in tante parti del mondo. La giornata, nata per ricordare l’assassinio del vescovo di El Salvador Oscar Romero, mentre stava celebrando la messa, è divenuta un’occasione per meditare e pregare per la Chiesa, per la sua fedeltà, il suo coraggio; perché i cristiani non si tirino indietro per paura e continuino a testimoniare la fede esponendosi di persona anche in situazioni di rischio. Leggo anche sui giornali di due preti arrestati in Cina mentre stavano celebrando la messa, con l’accusa di propaganda religiosa illecita. La “cristianofobia” d’altra parte si sta diffondendo perfino nelle nostre campagne (si veda la vicenda della benedizione della scuola di Sterpete). Riflettendo sulla storia cristiana, spesso raccontata in termini unilateralmente superficiali e negativi, si constata che non si può più cominciare con “l’epoca delle persecuzioni e dei martiri” come in alcuni testi di storia antica, intendendo i primi tre secoli d.C., perché l’epoca di martiri è ininterrotta, con variazioni di quantità e di modi, ma sempre presente come un filo rosso che lega tra loro i secoli.
Uno sguardo sull’oggi ci fa notare che vengono presi di mira dai terroristi interi gruppi di persone che professano la fede cristiana. Ciò avviene in Paesi dove imperversano organizzazioni criminali che agiscono in nome di una religione e di un ideale politico-religioso da imporre con ogni mezzo. A questo genere di martiri che potremmo chiamare “anonimi” o di massa, nel senso che i loro nomi saranno ricordati solo da Dio, ve ne sono altri che sono stati presi di mira singolarmente per la loro fede, ma anche per la loro attività e per l’attrazione che esercitavano sull’ambiente circostante. Si pensi a don Santoro, ai monaci di Tibirine, sempre in Algeria, e a Pierre Claverie, di cui vorrei raccontare in breve la storia a quasi vent’anni dalla sua morte. Era stato consacrato vescovo a 43 anni e nominato per la sede di Orano, città della Algeria. È stato freddato, insieme al suo giovane autista musulmano, da uno o più feroci assassini il 1° agosto 1996. Aveva 58 anni. Era nato e vissuto in Algeria nei primi vent’anni della sua vita, aveva studiato in Francia e scelto la vita di consacrazione a Dio nell’Ordine domenicano. Una persona ben inserita tra la sua gente, non solo i cattolici ma tutte le persone del luogo. Basti dire che al suo funerale una giovane musulmana, Oum El Kheir, rese questa testimonianza: “Amici, devo confidarvi una cosa: il mio padre, fratello e amico Pierre mi ha insegnato ad amare l’islam, mi ha insegnato a essere musulmana amica dei cristiani d’Algeria. Ho imparato con Pierre che l’amicizia è prima di tutto fede in Dio, è amore, è solidarietà umana. Amici miei, oggi sono la vittima del terrorismo, della barbarie della vigliaccheria. Sono la figlia musulmana di Claverie”. Il Vescovo domenicano, a sua volta, aveva scritto un anno prima di morire: “La Chiesa non è al mondo per conquistare, e neppure per salvarsi insieme ai suoi beni. Essa è, con Gesù, legata all’umanità sofferente. Essa compie la sua missione e la sua vocazione quando è presente alle lacerazioni che crocifiggono l’umanità nella carne e nell’unità”. (Per saperne di più: J.J. Pérennès, Vescovo tra i musulmani. Pierre Claverie, martire in Algeria, Città nuova, 2004)