Ha lanciato un appello al suo partito, la presidente della Giunta di centrosinistra che governa l’Umbria, Catiuscia Marini, nella conferenza stampa in cui ha commentato i risultati delle elezioni e la pesante sconfitta del Pd: “No alla resa dei conti interna e alla ricerca di capri espiatori”.
A giudicare da quello che è successo dopo, l’appello è caduto nel vuoto – visto che sono cominciate a circolare voci di possibili rimpasti del suo esecutiivo, a danno della rappresentanza socialista che, non avendo avuto un proprio esponente nelle liste per le politiche in Umbria, avrebbe contribuito alla storica débacle. “L’Umbria rossa è un ricordo storico”, ha chiosato Bruno Bracalente, docente di Statistica ed ex presidente della Regione ai tempi dei cosiddetti “professori”.
Da diverse tornate elettorali, Bracalente analizza i flussi di consensi da un partito all’altro, e stavolta ha certificato che il Partito democratico in Umbria alle politiche del 4 marzo ha perso 43 mila voti. Ora ne ha 125.000, la metà circa del 2014. Una “volatilità enorme” dell’elettorato “dem” a livello umbro, secondo Bracalente, il quale parla della “fine di una storia del centrosinistra al termine di un lungo percorso”. Le cause? Una, principalmente: “L’attesa di un cambiamento reale”. Quel cambiamento che l’attuale classe dirigente del Pd, ma anche quelle che l’hanno preceduta, evidentemente non hanno saputo garantire.
Il segretario regionale del Pd, Giacomo Leonelli, si è dimesso a poche ore dal voto. “Lo ringrazio, ma le responsabilità sono di tutti” ha insistito la presidente Marini, la quale – incontrando i sindaci Pd dell’Umbria per valutare i risultati elettorali – sembra aver lanciato più di un segnale al proprio partito su come ripartire dopo la sconfitta, e in vista delle amministrative di primavera, delle europee dell’anno prossimo e del voto per la Regione del 2020. Secondo Marini, il Pd deve tornare a essere “inclusivo e aperto”. È evidente, analizzando la trasformazione che il partito ha registrato con Matteo Renzi al timone, che queste caratteristiche sono andate abbastanza perdute negli ultimi anni. Con un paradosso politico palese: Renzi conquistò il partito avendo a che fare con gruppi parlamentari “dem” a impronta prevalentemente bersaniana.
Ora che Renzi si dimette (?), le pattuglie del Pd al Senato e alla Camera sono a sua immagine e somiglianza, ma il partito è fuori (volontariamente, anche…) dai giochi politici per formare un governo. “Bisogna ripartire dal Pd, sforzandosi di capire i cambiamenti in atto nella società” è la ricetta della Presidente della Regione per rilanciare il partito. C’è da chiedersi, senza reticenze o sconti per nessuno, come mai questo impegno e questo sforzo non si siano concretizzati prima del voto. E se, soprattutto, la fretta di rimettere in piedi il ’malato’ Pd senza una diagnosi sincera della sconfitta non sia foriera di ulteriori passaggi a vuoto.
AUTORE: Daris Giancarlini