“Una donna che partorirà” è l’immagine con cui si apre la Liturgia della parola di questa quarta ed ultima domenica di Avvento.
Prima lettura
“E tu, Betlemme di Efrata” acclama il profeta Michea, che con “Efrata” vuol significare l’aggettivo ‘feconda’ in relazione alla città che vedrà nascere il Messia.
E il testo prosegue proponendo proprio l’immagine della donna che partorisce, e in seguito al parto avviene che “il resto dei fratelli ritornerà”. Michea esercita la sua attività intorno agli anni della sconfitta di Samaria (721) e alla relativa deportazione degli israeliti nei territori assiri, e alterna profezie di sventura ad annunci di rinascita.
La pagina di questa domenica coincide con la visione futura di Betlemme, la città che darà i natali al discendente di David, a colui che “sarà grande fino agli estremi confini della terra”e che ristabilirà l’armonia tra i popoli in quanto “egli stesso sarà la pace”.
Salmo
Anche il Salmo con cui rispondiamo alla prima Lettura si riferisce alla situazione degli esuli del regno del Nord e invoca il “Pastore d’Israele” perché si erga con potenza, visiti la sua “vigna” e la faccia “rivivere”.
È interessante notare come nell’intero salmo (noi ascoltiamo solo una parte) più volte è espresso alla prima persona plurale “fa’ che ritorniamo!”. Il popolo ha maturato la consapevolezza di essere stato allontanato dalla terra perché è stato il primo lui ad allontanarsi dal Signore. C’è quindi da fare il ritorno al Signore e poi il ritorno in patria. Perciò promette al Signore: “da te mai più ci allontaneremo facci vivere e noi invocheremo il tuo nome”.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Michea 5,1-4aSALMO RESPONSORIALE
Salmo 79SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli ebrei 10,5-10VANGELO
Dal Vangelo di Luca 1,39-45
Seconda lettura
Nel brano della Lettera agli Ebrei ritroviamo l’immagine del bambino che deve essere partorito nel punto in cui leggiamo: “un corpo mi hai preparato”.
In soli 5 versetti l’autore più volte menziona le ritualità principali dell’Antico testamento, cioè il ‘sacrificio’, ovvero l’immolazione degli animali, e l’‘offerta’, ossia il dono del pane o della farina. Ma egli si rifà a queste tradizioni per dichiararle abolite grazie all’“offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”.
Vangelo
Nel Vangelo contempliamo il bell’incontro tra due donne incinte. La pagina si apre con Maria in cammino verso una “città di Giuda”. La tradizione, già a partire dai primi secoli del Cristianesimo, ha identificato la località, mèta del pellegrinaggio di Maria, con Ain Karim a circa 7 chilometri ad ovest di Gerusalemme.
Maria vi si reca di “fretta”. Potremmo pensare che vada per aiutare la parente negli ultimi mesi di gravidanza (e certamente l’avrà fatto!), ma il testo ci informa che Maria ritorna a Nazareth prima che Elisabetta abbia partorito (Lc 1,56). Possiamo dunque pensare che Maria abbia percorso circa 150 km non solo per aiutare Elisabetta ma soprattutto per condividere con lei la gioia della straordinaria esperienza che stavano vivendo nel loro spirito e nella loro carne.
Questo trova conferma nel contenuto della conversazione delle due donne, che va in crescendo: dal riconoscimento dell’intervento del Signore nella loro vita e nella storia del loro popolo, all’esplosione di benedizione e di lode a Lui. Delle due la prima a parlare è Maria che “salutò Elisabetta”.
Questo saluto provoca due effetti nella persona di Elisabetta: il sussulto del bambino che porta in grembo e il dono dello Spirito santo che riempie il suo cuore. Si realizza dunque la profezia che aveva ricevuto Zaccaria dall’arcangelo Gabriele che di Giovanni aveva detto: “egli sarà pieno di Spirito santo fin dal grembo di sua madre”.
A questo punto escono dalle labbra di Elisabetta parole di lode a Maria, parole che esplodono dal cuore perché vengono pronunciate a “gran voce”. È la prima lode, dopo quella dell’arcangelo Gabriele, rivolta a Maria. L’acclamazione di Elisabetta ricorda la benedizione che Ozia rivolse a Giuditta dopo aver riportato la vittoria su Oloferne: “Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra” (Gdt 13,18).
È “benedetta” Maria ed è “benedetto” il Signore che Lei porta in grembo. E lo Spirito Santo che ormai ha preso possesso del cuore di Elisabetta fa sì che lei si rivolga a Maria chiamandola “la madre del mio Signore”. Stupefatta dell’arrivo di Maria, testimonia subito ciò che è avvenuto in lei: “appena il tuo saluto è giunto a me, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”. Poi la conclusione con una lode che Elisabetta rivolge a Maria “Beata colei che ha creduto all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
Questo rivolgersi a Maria in terza persona anziché con il ‘tu’ è stato interpretato come una lode riferita a Maria, ma anche a chiunque ‘ascolta’ la Parola del Signore. “I Padri della Chiesa a volte hanno detto che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio, cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è divenuta feconda” (Benedetto XVI, 47).
Prepariamoci allora ad accogliere con trepidazione e nella certezza che ci colmerà di gioia, l’ineffabile mistero della Parola fatta Carne che Maria partorirà!
Giuseppina Bruscolotti