Marchio Slow Food a 5 prodotti umbri

Il “presidio” garantirà l’autenticità degli alimenti

Slow Food Italia premia l’Umbria per il lavoro di tutela e recupero di alcuni prodotti di alta qualità legati al territorio, spesso in via d’estinzione. Cinque i prodotti regionali contrassegnati dal marchio “Presidio Slow Food”, che consente al consumatore di identificare il prodotto presidiato, tutelandosi dai falsi. Questi i prodotti premiati: la fagiolina del lago Trasimeno, seme molto piccolo di forma allungata e di color crema tipico della zona del lago; la fava cottòra dell’Amerino, prodotta nella parte meridionale dell’Umbria, tra Todi, Amelia e Orvieto, chiamata così per la caratteristica di cuocere bene e in fretta; il mazzafegato dell’Alta Valle del Tevere, salume prodotto nell’area al confine tra Umbria e Toscana; la roveja di Civita di Cascia, un tipo di pisello prodotto su tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui monti Sibillini, dove i campi si trovavano anche a quote elevate; e il sedano nero di Trevi, coltivato nell’area delle Canapine presso il Clitunno sin dal XVII secolo grazie all’opera del card. Ludovico Valenti, vescovo di Rimini, che realizzò l’opera di bonifica del fiume. Sul territorio regionale presenti anche dieci Città Slow, ossia Comuni che promuovono la filosofia Slow Food all’interno delle comunità locali applicando i concetti dell’ecogastronomia al vivere quotidiano. Torgiano, Preci , Bevagna, Todi, Amelia, Orvieto, Montefalco, Monte castello di Vibio, San Gemini e Trevi: questi i Comuni a cui è stato concesso il titolo. Da più di vent’anni l’associazione internazionale Slow Food Italia si impegna nella difesa delle cucine locali e delle produzioni tradizionali attraverso la promozione di progetti come la rete dei “presìdi”. Attualmente i presidi italiani sono 193 e rappresentano il risultato di un lavoro di dieci anni, durante i quali si è contribuito concretamente nella difesa di numerose razze animali, specie vegetali, formaggi, pani e salumi che rischiavano l’estinzione. I presidi hanno aiutato centinaia di produttori nel continuare la propria attività e hanno materialmente contribuito a dimostrare che un’altra agricoltura e un’altra produzione alimentare sono possibili. Per avvicinarsi a questa conquista bisogna innanzi tutto riflettere sulla lentezza, recuperare ritmi esistenziali e produttivi compatibili con una qualità della vita che deve essere totale. Identikit delle specialità enogastronomiche tutelateFagiolina del lago Trasimeno: coltivata fino al dopoguerra, è stata il principale apporto proteico all’alimentazione delle popolazioni locali; infatti il contenuto di proteine è superiore a quello dei fagioli. Col progressivo abbandono delle campagne, si è rischiata l’estinzione perché è una pianta meno produttiva dei fagioli e maggiormente esigente di manodopera. Fava cottòra dell’Amerino: si raccoglie in luglio e si conserva essiccata tutto l’anno. Una cinquantina di famiglie continuano a coltivarle seguendo la tradizione. Le fave cottòre si consumano in vari modi, ma il piatto più tradizionale è la “striscia con le fave” che si consuma il giorno della macellazione del maiale: si condiscono le fave lessate con il grasso ottenuto dallo scioglimento nella cottura della zona ventrale del suino, una lunga striscia di grasso e di magro. Mazzafegato dell’Alta Valle del Tevere: si produce tradizionalmente nella stagione invernale, da novembre a marzo. Nato dalla necessità di utilizzare tutto il maiale, in particolare le parti spesso scartate, unisce la grossolanità delle carni a una speziatura gradevole. Viene prodotto oggi a Città di Castello e Umbertide. Roveja di Civita di Cascia: si coltiva in primavera-estate e non ha bisogno di molta acqua. Ha grande valenza nutritiva perché molto proteica, in particolare se consumata secca, con alto contenuto di carboidrati, fosforo, potassio e pochissimi grassi. Detta anche roveglia, rubiglio, pisello dei campi, corbello, si può mangiare fresca oppure essiccata, e in questo caso diventa un ottimo ingrediente per minestre e zuppe. Macinata a pietra, si trasforma in una farina dal lieve retrogusto amarognolo che serve per fare la farecchiata o pesata. Sedano nero di Trevi: l’aggettivo “nero” deriva dalla caratteristica di mantenere le coste verdi fino a maturazione (varietà non autoimbiancante) se non sottoposte ad “imbianchimento”, pratica agronomica realizzabile mediante molteplici tecniche alternative di eziolamento (ingiallimento o imbianchimento delle parti verdi di una pianta). Attualmente la coltivazione di questo ortaggio è praticata perlopiù da pochi agricoltori su una superficie modesta, ma non mancano esempi di giovani imprenditori intraprendenti.

AUTORE: Giacinto Licursi