Magister Rufinus: il bene della pace non ha paragoni

Da Assisi prima ancora di San Francesco un grande insegnamento sulla pace

Qualche mese dopo l’incontro di preghiera dei capi religiosi per la pace invitati da Giovanni Paolo II del 27 ottobre 1986, veniva pubblicata ad Assisi un’ opera ingiustamente rimasta in ombra per lungo tempo: il trattato De bono pacis di un vescovo medievale di Assisi chiamato Magister Rufinus. L’idea di pubblicare quest’opera è nata proprio all’interno di un’iniziativa promossa dal Centro per la pace, fondato da Gianfranco Costa, svolta nella Casa Papa Giovanni XXIII, portata alla luce da due studiosi assisani, il canonico Aldo Brunacci e il professore Giuseppe Catanzaro, che hanno dedicato la loro fatica al Papa e ai rappresentanti di tutte le religioni. Ora che l’incontro si ripete, sia pure in contesti diversi, dopo quindici anni, sembra opportuno ridare uno sguardo a questo libro che costituisce una perla nella letteratura cristiana sulla pace e dà ad Assisi una giustificazione ancora più antica di quella francescana per essere autorevolmente considerata la “città della pace” dove nasce quello “spirito di Assisi” cui più volte Giovanni Paolo II si è riferito nei suoi discorsi ufficiali. Rufinus, pur essendo un personaggio piuttosto sconosciuto, dalle ricerche ultime si ritiene che sia stato vescovo di Assisi nel tempo in cui veniva alla luce Francesco, il figlio di Pietro di Bernardone e di Monna Pica, che darà alla sua città una fama universale. Non è escluso che proprio da questo antico testo abbia tratto ispirazione quel “patto di pace e concordia” sottoscritto nel 1210 dalle due fazioni dei cittadini “maggiori” e “minori” che in quei tempi erano in continua lotta tra loro, che costituisce un primo esempio medievale di pacificazione cittadina.. Che cosa ha di particolarmente interessante e attuale quest’opera sarebbe lungo poterlo raccontare e solo una sua lettura può convincere su alcune certezze che ne promanano. La prima è che il Medio Evo non è quell’epoca di oscurantismo che ancora alcuni laicisti vorrebbero far credere e ciò si può meglio mostrare quanto più si studiano anche opere considerate minori. L’altra certezza è che la religione in generale come tale e il cristianesimo in particolare non sono portatori di fanatismo e di violenza ed anzi, una lettura “spirituale” dei testi sacri porta inevitabilmente a cercare la pace con Dio e tra gli uomini. Si pone in evidenza inoltre che la pace non è un generico bene naturale che si ottiene a poco prezzo ed anzi richiede una iniziazione, un cammino di conversione, la preghiera e un ricca dote di virtù altrimenti scompare dall’orizzonte umano e dà luogo ad un regime di terrore e di morte. Per Rufinus, infatti, si possono descrivere tre diversi tipi di pace che egli ipotizza miticamente legati a tre paesi: Egitto, Babilonia, Gerusalemme. La pace d’Egitto è quella del Faraone, del tiranno che tiene tutti sotto controllo poliziesco e militare. E’ una falsa pace senza giustizia e senza amore, fondata sul terrore che tiene gli uomini schiavi, dominati dall’odio e dalla paura. E’ la pace del diavolo. Ad un gradino più alto c’è la pace di Babilonia, fragilmente basata su trattati e sulla diplomazia, su virtù puramente umane e su accorgimenti di compromesso, che non hanno forza e durata e sono continuamente messi in discussione, dando luogo a conflitti e guerre. E’ la pace del mondo. La vera pace è quella misticamente indicata nella città di Gerusalemme dove i giusti si ritrovano per dare onore a Dio e si riconoscono fratelli attraverso la pratica della carità, oggi ancora imperfetta in attesa del compimento pieno nella Gerusalemme celeste. E’ la pace di Cristo e della Chiesa. Rufinus, da maestro spirituale, indica il cammino interiore che l’uomo deve fare per raggiungere questo stato di concordia con se stesso, con Dio e con gli uomini. Vi è nel trattato De bono pacis un’attenta descrizione della spiritualità dell’uomo pacifico e delle virtù che deve acquisire. E risuona quanto mai attuale l’ammonimento a non dividere la comunità dei credenti. Chi si rende colpevole di divisioni e discordie commette il crimine più grande che, secondo S.Cipriano è da considerare “inespiabile”, perché perdura con effetti velenosi nel corpo della Chiesa e della società.

AUTORE: Elio Bromuri