Mafia: quale ‘trattativa’!

La cronaca ci costringe a tornare dopo pochi giorni sull’argomento “mafia”. C’è stata davvero, negli anni ’90, una trattativa fra lo Stato e la mafia? Se sì, è stata un reato, o no? Di nuovo, si devono fare i conti con un polverone giornalistico che confonde le idee, anche volutamente.

Dunque mettiamo le cose in chiaro. Nel Codice penale il reato di “trattativa” non c’è, e non c’è niente che gli assomigli. La procura di Palermo – risoluta a portare la “trattativa” in tribunale – è andata alla caccia di un appiglio, e ha creduto di averlo trovato nell’art. 338 del codice. Questo però parla di violenza o minaccia alle alte autorità dello Stato.

Chi lo ha scritto pensava a episodi come quello dei trumpiani che hanno preso d’assalto il Congresso degli Stati Uniti. Nel nostro caso, i magistrati dell’accusa hanno pensato che certi delitti e certi attentati – i cui autori noti sono tutti condannati da un pezzo – fossero stati ideati proprio per ricattare i membri del Governo e spingerli a determinate decisioni (quali, non è chiaro). Sul piano del diritto, ci può stare; ma il punto è che l’art. 338 punisce il ricatto e i ricattatori, non chi è ricattato. Neppure se il ricattato, cioè il Governo, cede e scende a patti.

Allora, come è possibile portare in giudizio i rappresentanti dello Stato che, secondo l’accusa, avrebbero ceduto alle minacce della mafia? Qui è scattata la forzatura che a Palermo la Corte di primo grado, nel 2018, aveva accolto e che quella di secondo grado ha invece respinto. La tesi era che alcuni alti ufficiali dei carabinieri, che indagavano su quei fatti, abbiano fatto da portavoce ai mafiosi mettendosi dalla loro parte.

Loro invece si sono difesi dicendo che indagavano e riferivano, come era il loro compito. In primo grado sono stati condannati, in secondo grado assolti. Anche se fossero colpevoli, sarebbe un (grave) caso di infedeltà di alcuni funzionari, e non sarebbe concettualmente corretto chiamarlo “trattativa Stato-mafia”. Questa denominazione è solo una montatura con la quale qualche magistrato e qualche giornalista si è costruito la sua fama mediatica.