Il nostro Settentrione assomiglia sempre più al profondo Sud degli anni ’80. Eppure ci sono ancora molti esponenti della politica e della società civile che negano l’esistenza della grande criminalità organizzata. Per i magistrati non si deve più parlare di infiltrazione, ma di interazione-occupazione. Una presenza capillare che riguarda ogni regione e provincia, fino al singolo municipio”.
È quanto si legge sul sito di Libera. Un allarme rilanciato dalle recenti notizie sugli intrecci tra politica e ’ndrangheta in un Comune della Brianza.
Da tempo alcuni magistrati del Nord chiedono di alzare la guardia perché “la corruzione è diventata il metodo mafioso più raffinato. Pericolosa al pari della capacità di intimidazione e di condizionamento della politica e della vita del territorio”. L’invito a vigilare sulla infiltrazione mafiosa in Umbria è stato rilanciato anche la scorsa settimana dal presidente della Fondazione umbra contro l’usura https://www.lavoce.it/banche-cittadini-quale-comunicazione/ .
Riecheggiano le parole di Papa Francesco, domenica 1° ottobre a Cesena: “La corruzione è il tarlo della vocazione politica. La corruzione non lascia crescere la civiltà”.
Il dipanarsi del fenomeno malavitoso nelle regioni settentrionali è, non da oggi, sotto osservazione, anche se non è stato facile intercettarlo e colpirlo con immediatezza ed efficacia.
Ciò che esige un’attenzione aggiuntiva è la strategia di penetrazione delle mafie nelle istituzioni locali. Ci si chiede, a volte, se la criminalità organizzata non sia andata e non vada a occupare spazi che nelle istituzioni locali vengono lasciati vuoti perché “la politica è una cosa sporca”. Spazi a disposizione di corrotti e corruttori.
Le risposte possono essere cercate e trovate in più direzioni, ma una, in particolare, chiama in causa la crisi della partecipazione, la crisi della solidarietà, la crisi della democrazia, la crisi di fiducia nel rapporto cittadini-istituzioni. Un insieme di crisi provocate da un’eclissi della coscienza che, ancor oggi, non sembra essersi conclusa.
Una domanda, dunque, rimane: perché quanti affermano di avere a cuore la città rimangono distanti dalle istituzioni, cioè dai luoghi, dove si pensano e prendono decisioni per il bene dei cittadini?
Non è forse il rifiuto o la difficoltà, almeno da parte dei cattolici, di leggere e vivere la politica come forma nobile ed esigente di carità a lasciare spazi vuoti, spazi a disposizione di corrotti e corruttori?
Non è forse la mancanza di una riflessione seria e condivisa sull’impegno politico a rendere più facile e sottile l’infiltrazione della mafia e della cultura mafiosa al Nord?
A stimolare la ricerca, le risposte, le assunzioni di responsabilità politiche sul territorio è la memoria di quanti hanno lottato contro le mafie. Loro, anche se morti, non hanno lasciato spazi vuoti.
Mafia e disaffezione alla politica
AUTORE:
Paolo Bustaffa