Incontriamo don Ivan Maffeis a casa sua, in Trentino, alla vigilia del suo ingresso nella diocesi di Perugia – Città della Pieve.
“Ho sentito questa nomina come un cambio di vita, un passaggio radicale – ci dice don Ivan. – Da una parte ero qui a Rovereto da due anni, quindi portato a conoscere il territorio, a cercare di dare un nome alle famiglie, ai ragazzi, alle persone. La nomina è stata una sorpresa che mi ha fatto capire di essere arrivato in fretta al termine di un mandato per assumere una responsabilità enorme rispetto alla precedente. ‘Mi sento davvero piccolo!’, questo è stato il primo pensiero. In seguito ho poi sentito meglio la gratitudine per la fiducia del Papa, la fiducia della Chiesa”.
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Don Ivan Maffeis, nello zainetto del prete di montagna, cosa ha messo?
“Parto con l’amore della mia gente. Anche queste settimane di saluto, di congedo, ti fanno toccare con mano la ricchezza della nostra comunità. Quella comunità di cui a volte come preti magari ci lamentiamo pure, in cui magari cogliamo più gli aspetti di fatica che di grazia.
Ordinazione a Perugia: una scelta di don Maffeis
La scelta che ho fatto con l’Arcivescovo di Trento, di essere ordinato a Perugia, vuole essere una scelta di campo, quella di dire: arrivo da umile prete, arrivo per essere figlio di questa Chiesa, ancor prima che padre.
D’altra parte le radici trentine, la famiglia, la Chiesa di lì spero possano diventare non tanto una nostalgia ma una possibilità in più. Vista dal Trentino, l’Umbria è una terra meravigliosa, una terra di santi, di bellezze artistiche e naturali incredibili. Per altro verso il Trentino ha da offrire accoglienza, ha da offrire turismo, ha da offrire una storia significativa. Credo che se le nostre due Chiese troveranno un po’ alla volta la possibilità di una collaborazione e di uno scambio, potrebbe andare a beneficio di tutti”.
Il fratello morto sul lavoro
Lei ha perso un fratello, Marco, in età ancora piuttosto giovanile per un incidente sul lavoro. Un tema molto caldo nel nostro Paese, basti pensare ai dati Inail sulle morti bianche nella sola Umbria…
“Questo non solo fa pensare, ma per molti versi è motivo davvero di scandalo, specialmente quando la morte è frutto di responsabilità, di una sopravvalutazione magari di un risparmio. Non possiamo rassegnarci a contare i morti, chi semplicemente svolge il proprio lavoro e con questo si trova esposto a un pericolo di vita. Nel caso di Marco è stata una morte drammatica, una morte improvvisa, ma credo che ognuno di noi abbia nel cuore, nella memoria persone care che ha amato e dal quale è stato amato, e che ha visto a un certo punto partire.
Quello che con la mia famiglia insieme abbiamo cercato di vivere è, da una parte, custodire la memoria degli affetti, non semplicemente per nostalgia ma per salvare ciò che può aiutarci ad andare avanti, non dimenticare, non lasciare che il tempo cancelli volti e storie condivise. Accanto alla memoria la riconoscenza per queste persone: un fratello, un papà, una mamma, un figlio ci hanno donato molto, e questo aiuta anche a portare il dolore per la loro mancanza.
Se posso aggiungere un pensiero che mi è molto caro, sono convinto che i nostri defunti siano i primi santi di casa nostra”.
Primi passi del vescovo Maffeis davanti alla Madonna delle Grazie
Come pensa di trascorrere i primi “cento giorni” a Perugia?
“Anzitutto cercherò di portare davanti alla Madonna delle Grazie le attese delle nostre comunità, delle nostre famiglie. Di affidare a lei anche il mio servizio, chiedendo che sia lei ad aiutarmi a essere un Pastore buono, un Pastore che sappia davvero avvertire quello di cui le persone hanno bisogno, e cercare di ‘esserci fino in fondo’.
Nei giorni che seguiranno cercherò di conoscere i primi collaboratori, di mettermi in ascolto di quanto vorranno condividere, di cercare di imparare un po’ la lingua umbra, senza presunzione e con la necessaria umiltà; e nel contempo di essere aiutato anche a compiere le prime scelte. La mia agenda è bianca, è vuota, e sono contento: è la prima volta che mi si presenta un tempo davanti così sgombro.
Prima di tutto le persone
Ecco, più che riempirla di appuntamenti, vorrei riempirla di volti, di persone, anche di problemi, cercando insieme – se non di superarli – almeno di affrontarli, con quella speranza che nasce dall’esperienza evangelica e dal sentire che non c’è ‘un uomo solo al comando’, ma siamo all’interno di un’esperienza di fraternità dove ciascuno, con la responsabilità che gli è stata affidata, cerca di educarsi e di educare, di guidare e anche di essere guidato”.
Don Maffeis, i vescovi dell’Umbria riprendono l’attività della loro Conferenza episcopale il giorno 19 ad Assisi. Ci sarà anhce lei. E sarà presente anche il card. Bassetti, con il quale lei ha collaborato per dieci anni, da quando era vice presidente della Cei e poi presidente.
“Al Cardinale mi lega una storia anche di lavoro, che ci ha portato a una conoscenza reciproca.
Vescovo tra i vescovi. L’amicizia con Bassetti
Nei suoi confronti sento una profonda gratitudine e un affetto, per la sua bontà, per il modo con cui ha supportato anche in momenti di tensione o difficili. Abbiamo lavorato bene insieme, e gli sono grato di tanta fiducia che mi ha dato. Quindi sono contento che rimanga in diocesi, credo che resterà davvero un riferimento. Nel mio piccolo, cercherò di inserirmi nel solco di chi mi ha preceduto, aiutato anche dagli altri collaboratori.
Quanto agli altri Vescovi umbri, qualcuno l’avevo conosciuto anche prima, e sono contento di collaborare adesso con tutti loro. Sono persone, da quello che ho potuto sperimentare, animate dalla passione pastorale, dall’amore alla Chiesa; sono testimoni di fede. Quindi la loro presenza per me è anche una garanzia; significa sentire che, anche da questo punto di vista, cammino con confratelli che, anche semplicemente dai messaggi che mi son giunti, mi accolgono con generosità e spirito di fraternità. Credo che questo sia il massimo che si possa chiedere”.
Don Maffeis, arrivando nella sua nuova diocesi, attraverserà vari luoghi-simbolo. Come li vivrà?
“L’amore alla gente passa attraverso la conoscenza del territorio, attraverso un lasciarsi plasmare dalla ricchezza di tradizioni, spiritualità, fede, cultura. Passa attraverso quella conoscenza delle persone che ci fa comunità, che ci fa Chiesa. Dai giovani penso che abbiamo tante cose da imparare, anche come Chiesa, cercando nel contempo di far sì che la Parola del Vangelo possa correre anche oggi tra di loro.
Imparare dai giovani e dai poveri
Il Papa poi non si stanca di richiamarci quanto i poveri abbiano da insegnarci. Non si tratta certo di edulcorare la povertà, che rimane tante volte un’umiliazione, una forma di degrado, quanto piuttosto di camminare con questi fratelli e condividere ciò che siamo, ciò che abbiamo, e di lasciarci aiutare da loro ad andare sempre più all’essenziale.
Cercherò di essere Pastore, sì, ma ricordando che il Pastore è uno e uno solo, e rimane il Signore Gesù. Nella misura in cui saprò e sapremo camminare con lui, diventerà una bella partita. Diventerà una vita buona secondo il Vangelo”.
R. L. – D. R.