Le Beatitudini costituiscono il solenne esordio del Discorso della montagna. Attraverso questa parte del suo Vangelo, Matteo sembra voler mettere in guardia verso due rischi sempre in agguato: l’ortodossia sterile, ossia sentirsi “a posto” in quanto appartenenti alla Chiesa, e lo spiritualismo disincarnato, ossia tradurre la fede cristiana in un fatto solo spirituale, interiore e senza concretezza. Tuttavia non si pensi a una raccolta per riunire le linee fondamentali dell’insegnamento di Gesù, o perlomeno non solo. Matteo vuol proporre, mettendolo davanti alla comunità cristiana, l’atteggiamento che sta alla base di tutte le scelte e orienta l’agire del cristiano… perché non basta l’appartenenza alla Chiesa, l’ortodossia. Ecco l’atteggiamento con cui metterci in ascolto di queste parole: sono per noi. Oggi. Il messaggio del Vangelo si potrebbe sintetizzare tutto nell’espressione: vivere da figli di Dio, amando gli altri come noi stessi. Tuttavia è necessario tradurre le parole in azioni. Ecco allora che Gesù scende nel concreto evidenziando gli atteggiamenti da cui si possa vedere e toccare l’agire cristiano, e grazie ai quali vedere e toccare la risposta di Dio. Ma andiamo per ordine. In poche righe introduttive l’evangelista ci permette di entrare nel contesto: ci sono due gruppi di ascoltatori, la folla e i discepoli. A quale dei due gruppi apparteniamo? I discepoli, hanno lasciato tutto, stanno perennemente con Gesù, appena lui accenna a dire o fare qualcosa sono lì, in ascolto, e provano a imitarlo. Non per questo sono già santi, ma desiderano restare sempre con lui: “Signore, dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Il gruppo della folla è composto da persone che assistono a qualcosa, sentono delle parole, vedono delle cose. Potenzialmente potrebbero diventare discepoli, nella misura in cui si aprono alla Parola e si rendono conto di chi è Gesù per loro… Il monte: immagine dell’origine divina della Parola; Gesù sale per prendersi cura di quelle persone nel modo più prezioso possibile, facendo lui da tramite tra loro e Dio in persona, donando la Parola del Padre. Altre volte Gesù si pone su un monte, e lì conduce i discepoli, (Trasfigurazione, discorso di invio dopo la Resurrezione…).
Il monte è l’immagine di un luogo, o meglio di una dimensione interiore in cui Dio si rivela. Gesù si mette a sedere: sappiamo che questo gesto caratterizzava coloro che insegnavano agli altri, quindi è un segno che qualifica Gesù come Maestro e il suo discorso come un insegnamento. Ci piacerebbe però sottolineare il modo, l’atteggiamento interiore che comporta questo insegnare stando seduti. Quando un figlio chiede la nostra attenzione totale è facile sentirsi dire: “Mettiti seduto, papà, siediti vicino a me, mamma…”. Vuol dire la certezza che in quel momento noi non dobbiamo allontanarci, fare altro: semplicemente il bambino vuole essere sicuro che noi faremo quella cosa (fare i compiti, leggere una storia, montare un gioco complicato, guardare il cartone preferito…) con lui/lei, senza distrazioni, essendo tutti lì, presenti a noi stessi. Quando diciamo “insegnare” è questo che intendiamo, non il semplice trasmettere concetti o informazioni. Gesù insegna in questo modo. La mente va quasi istantaneamente all’immagine descritta nella prima lettura: alle creature, angeliche e terrestri, che sono riunite intorno a Dio seduto in trono. È vero che Dio viene presentato sul trono della sua regalità, ma non ci sembra di dire un’eresia se sottolineiamo quanto debba essere bello essere là in quella situazione dove Dio è “tutto per loro”, seduto, e loro, i santi e gli angeli, sono insieme a Lui, semplicemente godendo della sua presenza e in piena comunione reciproca… bello come solo il paradiso può essere. Del resto, noi siamo stati creati a immagine di una comunione di Persone che godono della reciproca compagnia: è nel nostro Dna. Per usare le parole di mons. Tonino Bello: “Il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre Persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze”. Questo si traduce concretamente negli atteggiamenti presentati nelle Beatitudini. Santità: è la strada della santità a qualificare una persona come “santa”, non tanto il punto a cui è arrivata. Tante persone che abbiamo conosciuto, e ancor più persone sconosciute, hanno orientato la loro vita in questo modo e hanno ricominciato sempre, dopo ogni caduta, ogni volta che un ostacolo ha tentato di interrompere il loro cammino. Maria, nostra madre, è l’emblema di quanto sia tutta una questione di atteggiamento interiore e di opere di santità, piccole, quotidiane, di cui lei è maestra. O Maria, continua a ricordarci che la santità non è avere o fare qualcosa, ma essere in un certo modo. Conduci i tuoi figli a scommettere ogni giorno tutta la vita nel tentare concretamente di costruire relazioni solide con Dio e con il prossimo, per sperimentare la vera pace.