C’è una dinamica della guerra, una guerra radicata, che dura da decenni, ma che trova sempre nuovi motivi per alimentarsi. Ma c’è anche una dinamica della pace, in Terra Santa, che ha ragioni più forti e più vere. Le ha ricordate ancora una volta, domenica 30 luglio, il Papa: ‘Nel nome di Dio mi rivolgo a tutti i responsabili di questa spirale di violenza, perché immediatamente si depongano le armi da ogni parte!’. È l’appello, reiterato, appassionato, radicale, a una cessazione delle ostilità ‘per poter iniziare così a costruire, mediante il dialogo, una durevole e stabile convivenza di tutti i popoli del Medio Oriente’. Un appello rivolto a tutti, ai governanti e agli uomini di buona volontà, ciascuno per quanto può. Un appello fondato sulla roccia della fede, della preghiera. Oltre l’azione delle cancellerie, a partire dall’importante appuntamento di Roma, e delle organizzazioni umanitarie, ‘continui ad elevarsi da ogni cuore la fiduciosa preghiera a Dio buono e misericordioso, affinché conceda la sua pace a quella regione e al mondo intero’. È la linea profetica e realistica dell’impegno dei cristiani, e della Chiesa, ‘quando, di fronte alle guerre e ai conflitti di ogni genere, indica il cammino della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà’. È la strada della speranza. Il punto è proprio questo. Da un lato, bisogna creare subito le condizioni per lenire le sofferenze delle popolazioni civili, ancora una volta ostaggio di strategie di morte e di terrore. Contemporaneamente, in una prospettiva anch’essa altrettanto immediata, bisogna lavorare con intento strategico per arrivare a una pace duratura, una pace che resista, che dia speranza, che spezzi quella tragica rincorsa per cui ogni generazione si alimenta al conflitto che diventa una sorgente di odio etnico, religioso, politico ed è destinato a rilanciarsi attraverso le generazioni. E a ricadere sempre sui più deboli. Occorre dunque sbloccare la situazione. Non è facile. Necessita un impegno coerente a molteplici livelli. Da un lato, c’è bisogno di ‘fare il primo passo’, è necessario elaborare a livello profondo le tensioni, le loro molteplici radici nella storia, e approdare alla realtà della convivenza, che poi è l’unica e obbligata strada di sviluppo. Bisogna smontare il perverso meccanismo che collega sottosviluppo, terrorismo e integralismo. Accanto a questo impegno ‘di civiltà’, c’è l’impegno politico, l’azione della diplomazia. La strategia militare non può produrre risultati definitivi: è chiaro agli occhi di tutti. La pressione internazionale, il ruolo, insieme agli Stati Uniti, dell’Europa, con l’Italia in posizione-chiave, può portare a un risultato che dispieghi i suoi effetti anche ad Est, fino a quel lontano confine, che passa attraverso l’Iran, che ha i suoi terminali fino in Libano e nella striscia di Gaza. Ci vuole accortezza, pazienza e creatività, ma questo obiettivo può diventare la concreta e realistica speranza.
L’unica strada
L'appello del Papa per la pace in Terra Santa
AUTORE:
Francesco Bonini