Se mettessimo vicine le prime letture delle domeniche di Quaresima di quest’anno, potremmo notare che ripropongono in modo sempre diverso l’unico tema dell’Alleanza: la pace sancita nei giorni di Noè (I domenica), la promessa ad Abramo (II), i Comandamenti dati a Mosè (III), il ritorno dall’esilio (IV), la promessa dell’“alleanza scritta nei cuori” che non si può più infrangere (V). Questa domenica tocca alle parole del Signore che segnano l’appartenenza del popolo a Dio, e che sono quindi un elemento fondamentale dell’alleanza con Lui. Queste parole però comandano delle azioni, perché quello con Dio è un rapporto di amore, e l’amore non è un’idea o un sentimento, quanto piuttosto un voler essere per l’altro nella concretezza dei fatti.
Non si può amare solo a parole o con le emozioni: “ami Dio sopra ogni cosa” perché concretamente non ti fai idoli, vivi un giorno a settimana in modo diverso dagli altri, non dici parole che non Lo rispettano. Ami gli altri perché onori chi si è curato di te, perché non uccidi, non rubi, non offendi il coniuge, non menti, non minacci ciò che è del tuo prossimo. Amare è un’azione, un quotidiano agire per il bene dell’altro, spinti dal desiderio di onorare la sua bellezza e la sua dignità.
Molto prosaicamente, non si amano i figli per un trasporto emotivo (quanto si reggerebbe di fronte alle notti insonni che i neonati richiedono, o allo spossamento mentale cui costringono gli adolescenti? Per non parlare dei casi drammatici nei quali i genitori sono costretti ad affrontare la sofferenza o la malattia dei figli), ma perché si è deciso di amarli, perché Dio ce ne mostra la bellezza e noi vogliamo averne cura, concretamente, giorno dopo giorno, anche quando “non ce la facciamo più” o non sentiamo alcun trasporto emotivo, anzi soffriamo e abbiamo paura.
Anche con Dio è così: l’amore per Lui si dà nei fatti. Gesù, “divorato dallo zelo” per il Padre, compie un gesto simbolico come quello degli antichi profeti (vedi Geremia, solo per fare un esempio, che rompe una brocca davanti agli anziani per far capire come verrà trattato il popolo) e lo fa per indicare che si deve cominciare a guardare un nuovo Tempio e pensare un nuovo culto: sono arrivati i giorni del Messia. Questo nuovo tempio, che verrà distrutto e ricostruito, è Gesù stesso, in cui Dio è presente.
Domenica scorsa lo splendore di Gesù era evidente, e Dio stesso aveva parlato di lui ricoprendolo con la nube, proprio come aveva fatto con il Tempio tanto tempo prima. Gesù poi, nel dirsi tempio di Dio, fa riferimento esplicito alla sua Pasqua, nella quale è evidente che l’amore è un gesto molto concreto: la legge e i profeti (Mosè ed Elia che discutevano con Gesù sul Tabor) trovano compimento in questo atto di amore estremo in cui Dio si consegna senza riserve all’uomo e l’uomo a Dio. “Annunciamo quindi Cristo crocifisso, e niente altro”: in lui sta tutta la pienezza dell’amore nei fatti (“potenza di Dio”) e nelle parole (“sapienza di Dio”). In lui ogni realtà trova significato e prende luce; in lui è possibile tutta la pienezza dell’amore.
Ecco perché non ha alcun senso cercare altri “segni” da lui, anzi può essere controproducente perché ci distrae dall’Unico che conta. Cercare qualcos’altro in cui trovare senso e salvezza è “stolto”, perché solo in Cristo la logica di tutto ciò che esiste si fa evidente; ed è “debole”, perché non si dà una forza più efficace della Croce. Se Egli sembra “stoltezza e debolezza” è solo perché noi non siamo capaci di cogliere la verità: è l’amore l’unica intelligenza e l’unica potenza. Non occorre cercare altri segni, allora: Cristo è il segno in cui si mostra tutto l’amore di Dio e la grandezza dell’Uomo. Se scegliamo di seguirlo per “sentirci meglio” o per trovare sicurezze, prima o poi arriveranno altri che faranno segni più convincenti, e li seguiremo. Dobbiamo invece lasciarsi affascinare da lui e sceglierlo proprio lui è l’Amore fatto carne, donato fino alla fine: sceglierlo per ciò che è, non per i benefici che ne ricaviamo.
Se riusciremo a vedere in lui crocifisso la Bellezza che la Trasfigurazione ci preannunciava, lo ameremo e ci lasceremo plasmare dal suo stile amante, al punto che i nostri gesti saranno sempre amore, rivolto a coloro che Dio ci dà. Così, prendendo in prestito le parole con le quali il Salmista esalta la Legge, potremo dire di Gesù, in cui tutti i comandamenti prendono carne, che “lui solo è più prezioso dell’oro, e più dolce di un favo stillante”.