di don Angelo M. Fanucci
L’ho ammirato quando ha detto che avrebbe volentieri rinunciato a tutte le poesie che aveva scritto se avesse potuto essere lui l’autore del libro dei Salmi, talmente superiore alla sua è la vis poetica del Salmista. Bene. Parlo di Giosuè Carducci. Ma dentro di me lo maledico ogni volta che celebro un battesimo, e segno con il crisma la fronte del battezzando, e gli assegno compiti che denunciano la sua eccelsa dignità di sacerdote, re e profeta. Lo maledico dentro di me perché inesorabilmente, come un riflesso condizionato, mi tornano in mente i versi beceri che Carducci ha scritto nel cuore di uno dei paesaggi più belli della nostra Umbria, Alle fonti del Clitunno.
Un’ode barbara (ma… barbara sul serio), celebra quei luoghi incantati e lo sgangherato dio che li abitava un tempo, il dio Clitunno, con versi veramente beceri; eppure c’è anche oggi chi li giudica (vedi Wikipedia) “un vertice di poesia”, dove “risplende evidente la fedeltà alla tradizione classica più alta e più pura”. Gnaffe. Boiate.
Di fronte a quella natura incantata, l’unico pensiero che è venuto in mente al gottoso professore bolognese è che il vicino tempietto al dio Clitunno, tra i tanti che sorgevano disseminati nei pressi delle sorgenti dei fiumi, è rimasto l’“unico, da quando Roma / più non trionfa, poi che un galileo / di rosse chiome il Campidoglio ascese, / gittolle in braccio una sua croce, e disse: / Portala, e servi”. Fu allora che “fuggîr le ninfe a piangere ne’ fiumi / occulte e dentro i cortici materni / od ululando dileguaron come / nuvole a’ monti”.
Davvero l’acido dell’ideologia corrode e distrugge. Nel caso del Carducci, ad annebbiargli gli occhi è l’ideologia massonica e radicalmente anticlericale, che lo trasforma da poeta a volgare polemista blasfemo da quattro soldi.
Questa vicenda interiore l’ho vissuta in altro modo, scorrendo nel breviario la prima lezione dell’Ufficio delle letture del giovedì della prima settimana del Tempo ordinario, con la splendida poesia del creato rivisitato alla luce delle grandezza e della bellezza di Dio che lo illumina.
Dal capitolo 43 del Siracide, vv. 13-33. “Con un comando Dio invia la neve, e fa guizzare i fulmini… si aprono i depositi e le nubi volano via come uccelli. E le nubi si polverizzano in chicchi di grandine… Secondo il suo volere soffia lo scirocco… Fa scendere la neve come uccelli che si posano, come cavallette che si posano è la sua discesa; l’occhio ammira la bellezza del suo candore e il cuore stupisce nel vederla fioccare. Riversa sulla terra la brina come il sale, che gelandosi forma come tante punte di spine. Soffia la gelida tramontana, sull’acqua si condensa il ghiaccio; esso si posa sull’intera massa d’acqua che si riveste come di corazza”. Formidabile!
Centellinatevelo tutto, questo etereo canto di Yehudi Ben Shirach, che da non molto, lungo il viale dei Poeti, in paradiso, s’è incontrato con Carducci. E Carducci gli ha dato la precedenza.