Una battuta circolata dopo la visita al Palazzo di vetro dice: “La fede di Papa Francesco è immensa: crede nell’esistenza dell’Onu”. Una battuta, ma… esiste davvero l’Onu? Certamente sì, come luogo dove i rappresentanti di tutti gli Stati si riuniscono per discutere dei problemi del mondo. Ma se ci si immagina l’Onu come il luogo in cui, oltre a discutere, si prendono decisioni che hanno un qualche peso, e di conseguenza una qualche utilità, questo è molto più dubbio.
Molti pensano che si dovrebbero cambiare le regole che risalgono al 1945, tra cui quella che riserva un peso determinante al voto dei cinque vincitori della Seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina).
Ma, con o senza il diritto di veto dei cinque Grandi, il punto debole sta nel fatto che le decisioni collegiali non hanno un valore imperativo nei confronti dei singoli Stati. Ciascuno di essi conserva la sua sovranità, e le segue nella misura in cui gli fa comodo.
La stessa Unione europea, che pure è enormemente più avanti da questo punto di vista, in pratica è come un condominio nel quale si decidono cose come la pulizia delle scale, ma per le cose che contano ognuno è padrone in casa sua (vedi la politica sull’immigrazione). D’altra parte, come si fa a trasformare l’Onu in un’assemblea veramente democratica?
Se si contasse un voto per ogni Stato, la maggioranza la farebbe la miriade di Paesi piccoli e piccolissimi, che però non hanno un vero peso economico e politico, e quindi si farebbero corrompere dall’una o dall’altra delle grandi potenze. Se si votasse invece a suffragio popolare universale, Cina, India, Indonesia e Pakistan, per dire, farebbero insieme da soli 3 miliardi di abitanti, mentre i 28 membri dell’Ue ne metterebbero insieme sì e no mezzo miliardo.
In questa situazione, solo per mettersi d’accordo sulle regole del voto per eleggere il futuro Parlamento mondiale si dovrebbe discutere un secolo e non se ne arriverebbe a capo. Davvero ci vuole la fede di Papa Francesco!