Il testo del Vangelo che ci presenta la liturgia è composto di due brani ben distinti: il primo riporta la prefazione del Vangelo di Luca (1,1-4), il secondo ci racconta l’inizio della predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth. Il filo logico che unisce i due brani è il tempo della salvezza di Dio inaugurato da Gesù: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”; Luca scrive per trasmetterci l’attualità di questa “parola-evento” che in ebraico suona dabàr, in greco rhema o logos, e indica parole e fatti inseparabilmente legati. La parola di Dio non è solo fenomeno uditivo, è fenomeno creativo: ogni volta che Dio parla compie ciò che dice. L’inaugurazione dell'”anno del Signore” avvenuta a Nazareth continua nell’oggi con l’ascolto del Vangelo che Luca ha scritto per noi. Ogni volta che risuona questa parola, specie nella liturgia, si rinnova l’evento salvifico di Dio inaugurato a Nazareth: la parola realizza ciò che annuncia.
Nella liturgia dell’ascolto, Dio ci raggiunge mediante la sua “parola”; essa diventa attuale ed efficace per ciascuno e per la comunità che si raccoglie intorno all’altare. Stiamo vivendo l’oggi di Dio, l’anno di grazia: questo ci ha detto Gesù, questo ci ripete l’evangelista. Il Vangelo di Luca è il Vangelo guida di questo anno liturgico 2006-2007. Ci accompagnerà ogni domenica con la sua originalità e ricchezza spirituale. L’autore è l’unico scrittore del Nuovo Testamento che non sia ebreo. Luca è un pagano convertito della prima ora; viene da Antiochia di Siria, dove il cristianesimo varcò i confini del mondo giudaico alla conquista del mondo pagano. Fu tra i discepoli di Barnaba e di Paolo, che gli attaccarono quella febbre missionaria che li spinse ad attraversare il Mediterraneo per raggiungere i paesi greci delle sue sponde. A dire degli Atti degli apostoli, Luca viaggiò molto incrociando le strade di Paolo e di altri apostoli, testimoni oculari dei fatti che narrerà.
Nella prefazione del suo scritto, redatta alla maniera degli storici greci, informa i suoi lettori greco-cristiani sulle fonti utilizzate, sul metodo e sullo scopo che lo hanno guidato. Non aveva conosciuto personalmente Gesù. Appartiene alla seconda generazione cristiana, formata dagli apostoli, gelosa della tradizione storica da questi ricevuta. Perciò, intorno agli anni 60, quando gli apostoli avevano sciamato dalla Palestina e stavano subendo il martirio nei luoghi della loro predicazione, sentì il dovere di raccogliere la loro testimonianza prima che andasse perduta o fosse contraffatta. Luca ci informa che per comporre la sua “narrazione” ha fatto “scrupolose ricerche” storiche utilizzando le fonti scritte, per lo più ancora parziali, già in circolazione al suo tempo per uso liturgico e catechetico. Tra queste certamente il Vangelo di Marco e i Loghia di Matteo, una raccolta di “detti” antecedenti all’odierno Vangelo.
Accanto a queste fonti scritte, ha avuto il privilegio di raccogliere, nei suoi viaggi, il racconto vivo degli apostoli, che erano stati testimoni oculari dei fatti che intendeva narrare. Con onestà e scrupolo, da vero storico, volle attingere notizie di prima mano, spingendo la sua ricerca ‘fino alle origini’, narrandoci anche i vangeli della nascita e dell’infanzia di Giovanni e di Gesù. Così può garantire al suo amico Teofilo, a cui dedica il libro, ‘la fondatezza’ storica della sua narrazione, e la certezza della fede che egli vive. Con l’ispirazione dello Spirito santo, il suo scritto diventa “Parola” che realizza ancora oggi la presenza e l’azione di Cristo fra gli uomini, come dice lo stesso Gesù nella sinagoga di Nazareth. A tal proposito, un breve sommario ci informa che, dopo le tentazioni subite nel deserto, Gesù torna in Galilea, dove era vissuto per più di trent’anni, e inizia la sua attività di predicatore popolare. All’inizio annuncia il suo vangelo nelle sinagoghe dei villaggi, conquistandosi la fama di maestro di successo.
Luca ci descrive la prima e più breve predica tenuta da Gesù a Nazareth “dove era stato allevato” (era nato a Betlemme). Era sua abitudine frequentare la sinagoga del suo villaggio e alzarsi a leggere in pubblica assemblea. Questa volta lo fece in maniera tutta particolare, preceduto dalla fama. La liturgia in sinagoga si teneva al mattino del sabato. Si iniziava con la recita della professione di fede (lo shemà) e le 18 benedizioni, si proseguiva poi con la lettura di due brani delle Scritture: il primo preso dalla Torah (i primi cinque libri della Bibbia), già prefissato, il secondo ricavato dai libri dei Profeti, a scelta del lettore. A questo punto lo stesso lettore o uno dei presenti veniva invitato a tenere l’omelia. Tutto si concludeva con il canto dei Salmi e la benedizione.
Gesù lesse il secondo brano preso dal libro del profeta Isaia e scelse lui stesso la citazione riportata dall’evangelista in maniera sintetica. Il testo era adatto a spiegare la sua persona e il suo programma: egli è il Messia-profeta consacrato dallo Spirito del Signore al Giordano e inviato a “proclamare il lieto messaggio” (evangelizzare) ai poveri (e Nazareth era la patria della povertà). Tale messaggio è caratterizzato come “liberazione” e come “anno di grazia del Signore”.
Una liberazione che è salvezza integrale dell’uomo, spirituale e materiale. Ne fanno fede il perdono e la consolazione che egli seminerà e i miracoli che opererà. L’anno di grazia è l’anno giubilare, del perdono e della liberazione, che si estende a tutti i tempi e arriva fino a noi. È la presenza salvifica di Dio nel mondo, che agisce per trasformare e santificare l’umanità. È annunciata dagli apostoli e messa per scritto dall’evangelista. È “l’oggi” di Dio di cui parla Gesù, una parola cara a Luca che la dissemina in tutto il suo Vangelo, dalla nascita di Gesù (2,11), alla prima predica (4,21), all’incontro con Zaccheo (19,5.9), all’assicurazione fatta al ladrone in croce (23,43).