La liturgia di oggi ci presenta un duplice dono dello Spirito santo: quello del giorno di Pasqua e quello del giorno di Pentecoste cinquanta giorni dopo (“Pentecoste” in greco significa “cinquantesimo giorno”). Anche nella vita di Gesù uomo c’è una duplice venuta dello Spirito: una che ha consentito l’incarnazione nel grembo di Maria (Lc 1,35), l’altra che ha segnato l’inizio della vita pubblica sulle rive del Giordano (Lc 3,22). Quella duplice venuta ha segnato tutta la vita e la missione di Cristo. I racconti che oggi ascoltiamo sono ricchi di simbolismo, perciò è necessario saperli interpretare bene, anche perché dentro quelle pagine c’è anche la nostra storia personale, il cammino di fede di ciascuno di noi. Molti cristiani ignorano che anche loro hanno ricevuto una doppia effusione dello Spirito: quella del battesimo e quella della cresima.
Lo Spirito che si riceve in ambedue i sacramenti è lo stesso, ma la misura e la funzione sono diverse. Potremmo dire che i due sacramenti ricalcano la duplice effusione che interessò gli apostoli. Il giorno di Pasqua essi ricevettero in forma simbolica il dono dello Spirito, che comunicò loro la vita divina del Risorto, sia come remissione dei peccati sia come presenza vivificante dello Spirito; a Pentecoste ricevettero in forma più chiara la missione e la forza di annunciare e testimoniare il Vangelo al mondo intero. Proprio come accade a noi nei due sacramenti dell’iniziazione cristiana: nel battesimo diventiamo figli di Dio mediante la purificazione dal peccato e il dono della vita divina; nella confermazione riceviamo la forza dello Spirito per essere annunciatori coraggiosi e testimoni del Vangelo nella vita e nel mondo. In questi due ambiti è compresa tutta la nostra vita cristiana. Ascoltiamo ciò che ci dice allora la Parola.
Il Vangelo di Giovanni ci riporta alla sera di Pasqua, quando Gesù risorto entrò a porte chiuse nel cenacolo e comparve improvvisamente vivo tra i suoi, che lo aspettavano trepidanti fin dal mattino, quando avevano ricevuto dalla donne l’annuncio della sua risurrezione. Il suo primo saluto fu anche un dono che solo il Risorto poteva assicurare: “Pace a voi”. Egli aveva ristabilito la pace tra cielo e terra con la sua morte e risurrezione. Proprio come aveva promesso durante la cena, quando aveva detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,27). È la pace di Dio che perdona, fornisce sicurezza interiore e stabilisce l’armonia di amore tra i suoi discepoli, divenuti figli, e il Padre di Gesù e loro. Quella pace è la condizione nuova che nasce dal dono della vita di Dio che Gesù comunica ora con parole e gesti ricchi di significato: “Alitò si di loro e disse: ricevete lo Spirito santo”.
Nella lingua ebraica di Gesù e degli apostoli la parola ruah significa sia vento (soffio) che Spirito. La Bibbia, che conoscevano bene, presentava lo Spirito di Dio come un alito di vento che aveva soffiato sulle acque del caos primordiale e aveva creato il mondo (Gn 1,2). Nella creazione del primo uomo, ritroviamo lo stesso gesto compiuto da Gesù nel cenacolo: “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7). Dentro le mura del cenacolo sta dunque avvenendo una seconda creazione dell’uomo. Il Figlio di Dio ha infuso nei discepoli una nuova vita, quella di figli come lui, ha comunicato la pienezza dello Spirito che era in lui. Il Battista aveva annunciato: “Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”: lo Spirito che dà la vita, il fuoco che purifica. Gesù aveva spiegato a Nicodemo in un colloquio notturno: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5).
Questo è il momento della nuova nascita, che Nicodemo non riusciva ad immaginare. Forse per questa novità assoluta, nel Vangelo di Giovanni Gesù chiama i discepoli suoi “fratelli” solo dopo la sua risurrezione (Gv 20,17). Prima di allora li ha chiamati solo amici (Gv 15,14-15). Li pone così in continuità con lui, come suo prolungamento nella storia: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. Ora che ha comunicato loro la sua vita di figlio, dona anche il suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12). Quel perdono sarà come una specie di contagio di vita divina da comunicare ad altri. Il secondo racconto di Pentecoste ci è fornito dal libro degli Atti. L’abbiamo udito nella prima lettura, come a dare tono alla festa di oggi. Salendo al cielo Gesù aveva assicurato ai discepoli: “Avrete forza dallo Spirito santo e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8).
Ora, dieci giorni dopo, quella promessa si attua: i discepoli ricevono forza e coraggio per annunciare il Vangelo nel mondo intero. Questo è il significato globale dei simboli usati nel racconto. A ben vedere appartengono al repertorio dei racconti biblici che descrivono la presenza e l’azione del Dio invisibile nella storia della salvezza. Il vento impetuoso, che come un terremoto scuote la casa, è il segno sensibile della presenza dello Spirito che sta invadendo rumorosamente il mondo, cominciando da Gerusalemme. È come il vento di una nuova creazione più straordinaria della prima. Il fuoco è il segno della potenza irresistibile di Dio, che brucia nel cuore dei discepoli e ne fa un roveto ardente, come quello dell’Oreb visto da Mosè, fuoco che arde e non consuma (Es 3,2-6). Lo Spirito che riempie gli astanti si manifesta e trabocca nell’ardore della predicazione estatica dei discepoli, scambiati per ubriachi di primo mattino (At 2,13).
Quel fuoco che si divide in tante lingue quanti sono i presenti, e si posa su ognuno di loro, è il segno della predicazione cristiana diretta ad ogni popolo e lingua. Lo conferma il fatto che, all’esplodere di quel frastuono così strano, accorsero i pellegrini giudei che erano venuti da ogni parte del mondo per celebrare la festa di Pentecoste nella Città santa. Tutti furono in grado di capire nella loro lingua l’annuncio delle grandi opere di Dio fatto dagli apostoli usciti in strada. Luca ci fornisce un elenco dettagliato di popoli e lingue rappresentate quel giorno a Gerusalemme. È un giro d’orizzonte che abbraccia tutto il mondo allora conosciuto. Da quel momento la Chiesa fu abilitata e attrezzata spiritualmente ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura.
Il Vangelo è per tutti, non si può nascondere o tacere. Ogni cristiano, battezzato e cresimato, è abilitato a portalo agli altri, senza paura e senza rispetto umano. Tutti dovremmo essere missionari. Lo Spirito è la nostra forza, la spinta interiore che ci muove. Proprio da questo compito, portato avanti dai ministri ordinati e da umili fedeli, è nata la Chiesa che annuncia Gesù salvatore nelle lingue di tutti i popoli della terra. La Pentecoste è stata la cura che Dio ha dato al mondo per porre fine alla Babele di odio, di divisione e di incomprensione che attanaglia il mondo (Gn 11,1-9). Siamo chiamati a contribuire a questo compito, perché tutti abbiamo ricevuto lo Spirito santo di Pasqua e di Pentecoste.