di Pier Giorgio Lignani
Domenica scorsa sono stato a messa, da forestiero, in un paesino di una sperduta valle alpina di lingua tedesca. Unica messa festiva nella parrocchia, alle 8.30 del mattino, perché poi il prete deve andare in altri villaggi. Elenco qui alcune differenze che mi hanno colpito. Malgrado l’ora, la chiesa era già gremita cinque minuti prima dell’inizio; tutti seduti ordinati e silenziosi sulle banche intagliate. Niente brusio, chiacchiericcio, gesti di saluto, né prima della celebrazione e neppure dopo, fino a che tutti non si sono trovati fuori della chiesa e del cimitero che la circonda. Nei luoghi sacri non si guarda in giro e non si apre bocca se non per quanto è richiesto dalla liturgia.
Niente chitarre né canti urlati; molto canto corale dell’intera assemblea accompagnata dall’organo, tutti con in mano il grosso libro dei canti edito dalla diocesi. Una folta squadra di chierichetti in perfetto abito liturgico si muoveva con la precisione di un orologio svizzero, sempre con le mani giunte come mi insegnavano in duomo settanta (quasi) anni fa; unica novità, ragazzini e ragazzine erano in numero uguale. Per la comunione ci si mette in coda ordinatamente, cominciando da chi sta al primo posto della prima fila di banche e poi via via sempre secondo lo stesso ordine; nessuno si muove sino a che non si è mosso il vicino che lo precede.
Devo continuare? Non posso nascondere che provavo un po’ di invidia. Certo, anche dalle nostre parti c’è attenzione e partecipazione attiva al rito, in misura neanche immaginabile prima della riforma liturgica conciliare; e poi ogni gente ha il suo modo di esprimersi, quello che conta è la sostanza. Però qualcosa vorrei portarla anche da noi. Per esempio vorrei abolire il chiasso che si scatena nelle nostre chiese appena detto l’“andate in pace”; un tempio resta un tempio anche quando la celebrazione è finita, non siamo a teatro o in una sala da concerti. Ma so che questi miei desideri non saranno esauditi.