Gli immigrati tornano a casa. Se era un segno di profonda trasformazione della società italiana il flusso di immigrati provenienti da Paesi di più basso livello di sviluppo economico, deve essere considerato come un segnale su cui riflettere anche la ritirata in atto degli stranieri verso le loro città e Paesi di origine. Il movimento migratorio da sempre ha inciso sulla società, sia quella di partenza sia quella di arrivo. L’uomo è fatto per integrarsi in un ambiente, in un contesto, in un territorio, dentro una lingua, una cultura, una religione. Il famoso “meticciato” di cui si è riparlato recentemente a Perugia per la giornata di studio sull’integrazione degli stranieri avviene e avverrà per una necessità storica. Umberto Eco ha detto in quell’occasione: “Vi piace? Siate contenti, avverrà. Non vi piace? Avverrà lo stesso”. Ed ha paragonato i flussi migratori alle stagioni e ai fenomeni naturali. “Non ci si può fare niente”: questa è una posizione fatalista e pessimista, tipica di Eco che inclina al “cinismo ironico” tipico della sua letteratura. E tuttavia una presa di coscienza e l’attuazione di misure adeguate per gestire e assecondare in maniera regolata tale fenomeno è di grande rilevanza sociale politica e culturale. Perfino religiosa, se si pensa al contatto della persona con altre religioni, sentendosi spesso preda di forme di proselitismo interessato. Per segnalare le conseguenze di certe migrazioni forzate dalla necessità di procurarsi una vita migliore, guadagnando un salario che nel proprio Paese sarebbe impossibile, mi è tornato alla memoria il dato fornito da un prete romeno secondo cui vi sono stati moltissimi (non dico i numeri, che mi sembrano eccessivi) suicidi di bambini e ragazzi a causa della lontananza della madre o del padre o di ambo i genitori. Rimasti affidati a nonne e zie, si sono sentiti abbandonati. D’altra parte la crisi economica che investe il nostro Paese rende impossibile per una famiglia italiana sostenere le spese di una badante, e ciò aggrava la situazione delle famiglie che si trovano in difficoltà per la malattia e la vecchiaia, una difficoltà che è ancora aggravata dalla diminuzione dei servizi socio-assistenziali per la non-autosufficienza. I primi ad essere colpiti, evidentemente, sono gli stranieri, che perdono il lavoro, e per questo sono costretti a rientrare in patria. Come si diceva, questa può apparire una soluzione positiva per alcuni che ricompattano la famiglia e salvano i figli dalla depressione; per altri, già disperati, si aggiunge altra disperazione. Appare chiaro ormai che non vi sono luoghi di rifugio in Italia e in Europa; non c’è più “l’America” per nessuno, e ognuno dovrà fare i conti con la propria condizione e appoggiarsi a quelle strutture del non-profit che ancora esistono, a cominciare da quelle inventate nel tempo dalla Chiesa e dalle Chiese. Purtroppo anche per queste strutture l’orizzonte si è ormai fatto oscuro, e talune rischiano di non avere il minimo per la sopravvivenza. Parlo con cognizione di causa. L’appello pertanto è che questo è il momento: chi può, esca dalla propria tana e apra la mano per dare un contributo con avvedutezza.
L’Italia non è più “l’America”
AUTORE:
Elio Bromuri