In margine al convegno tenutosi nei giorni scorsi a Roma nel 50’della morte di Pio XII, abbiamo intervistato Philippe Chenaux, storico, docente alla Pontificia università lateranense. Siamo alle battute finali delle polemiche contro Papa Pacelli? ‘Era doveroso, da parte della Santa Sede, difendere la memoria di Pio XII e cercare di porre fine agli attacchi contro di essa. Bisogna riconoscere, tuttavia, che il Papa lo ha fatto con grande coraggio e tenendo conto, mi pare, del lavoro degli storici seri (ad esempio, nel modo di presentare la questione dei silenzi). È del tutto inusuale che l’anniversario della morte di un Pontefice venga commemorato con tanta solennità. Penso che Benedetto XVI abbia parlato solo per i cattolici, e fra i cattolici, solo per chi è sinceramente convinto della innocenza di Pacelli. Non avrà convinto coloro che invece lo ritengono colpevole di non aver denunciato con forza la Shoah. Finché la Santa Sede non avrà aperto completamente i suoi archivi per l’intero pontificato, sarà difficile uscire completamente da queste polemiche. La non apertura degli Archivi vaticani rappresenta un”arma’ per chi vuole condurre una battaglia contro la sua beatificazione. Ma è vero, come diceva il cardinale Bertone nel suo intervento al convegno, che, una volta aperti, gli Archivi sono consultati da pochi studiosi. Qualcosa della ‘legenda nera’ di Pio XII rimarrà, purtroppo’. La mostra su Pio XII inaugurata nei giorni scorsi in Vaticano contribuirà a una visione più oggettiva sulla sua figura? ‘Spero proprio di sì, anche se non è stata concepita in una prospettiva apologetica. Come ha detto giustamente il presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, mons. Walter BrandmÈller, la polemica sui silenzi riguarda la storia post mortem di Pio XII, la quale non viene, come tale, affrontata nella mostra. Essa si limita (e non è cosa da poco) a ricostruire, con la più rigorosa oggettività possibile e con tutta la documentazione disponibile, il percorso umano ed ecclesiale di Eugenio Pacelli. La mostra ci dà così delle chiavi interpretative preziose per capire meglio le ragioni del suo atteggiamento durante la Seconda guerra mondiale. Come storico e biografo di Papa Pacelli, sono convinto che non si può separare la sua azione da Papa da quella svolta come diplomatico della Santa Sede al servizio dei suoi quattro predecessori’. Cosa resta di Pio XII dal punto di vista pastorale? ‘Prima d’intraprendere la carriera diplomatica, Eugenio Pacelli, questo ‘politico suo malgrado’ (secondo l’espressione così azzeccata del ministro britannico presso la Santa Sede, sir d’Arcy Osborne) aveva voluto essere sacerdote. Fu la sua prima vocazione, la sua vocazione originaria, alla quale volle rimanere sempre fedele. È questa prima vocazione, a lungo contrastata, di pastore di anime (nel senso tridentino della parola) che egli ritrovava con la sua elezione al pontificato, il 2 marzo 1939, anche se è anzitutto il brillante diplomatico che i suoi colleghi cardinali avevano scelto, dopo appena tre scrutini, per guidare la Chiesa nella tormenta che si annunciava. Tra i tanti aspetti della sua azione pastorale, c’è da ricordare la sua attenzione premurosa per preservare la sua diletta città di Roma dalle ferite della guerra, e la sua preoccupazione costante di fare tutto il possibile per aiutare le vittime del conflitto. Ho sottolineato anche, nel mio intervento al convegno, l’importanza del suo magistero per la rivalutazione del ruolo dei laici nella Chiesa’.
L’innocenza di Papa Pio XII
Un convegno a Roma ricorda Pacelli nel 50'anniversario della morte. Si fanno sempre più inconsistenti le accuse contro di lui
AUTORE:
Luigi Crimella