Un invito alle famiglie ad accogliere bambini e ragazzi in affido. Questo sono le ‘Stazioni quaresimali’ promosse dalla Caritas diocesana di Perugia-Città della Pieve per le cinque domeniche di Quaresima. Quest’anno la ‘Quaresima di carità’ è dedicata ai più piccoli sia con questo ciclo di incontri, per i quali lo slogan scelto è ‘Una porta aperta per l’affido’, sia con la raccolta viveri che da alcuni anni i giovani realizzano in collaborazione con l’Operazione Mato Grosso (Omg). I viveri, infatti, andranno a favore di ventimila bambini delle Ande peruviane, assistiti in collegi, oratori, ospedali, centri missionari situati a 3.000-4.000 metri s.l.m., dove operano sacerdoti, religiosi e animatori laici perugini e di altre diocesi dell’Umbria attraverso l’Omg. Nelle ‘Stazioni quaresimali’, cinque incontri che si tengono in diverse zone della diocesi, alcune famiglie affidatarie porteranno la loro testimonianza, mentre un esperto spiegherà cosa significa prendere in affido un bambino dal punto di vista psicologico, educativo e legislativo. L’idea di fondo dell’iniziativa è proporre l’affido come impegno delle famiglie, ma sostenuto da una comunità, ispirandosi in parte a quanto già avviene con alcune famiglie dell’associazione ‘Alle querce di Mamre’. Le Stazioni quaresimali, animate dagli operatori e volontari della Caritas, vedranno la partecipazione del direttore della Caritas diocesana, don Lucio Gatti, e dell’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti, al quale sta molto a cuore la ‘questione educativa’. Comunità diocesana e parrocchie sono così impegnate sul fronte della formazione dei giovani con attività che vanno dagli oratori agli incontri sull’affettività condotti da suor Roberta. L’Arcivescovo anche lunedì scorso, nell’incontro con i giornalisti, ha chiesto attenzione e responsabilità a tutti coloro che sono coinvolti nell’educazione e nella formazione dei giovani, ciascuno per la parte di sua competenza. Maria Rita ValliLA TESTIMONIANZA DI UNA FAMIGLIA AFFIDATARIACosa vuol dire aprire la propria casa all’affido? Lo spiegheranno gli esperti, agli incontri promossi dalla Caritas, e le famiglie che porteranno la loro testimonianza. Intanto ne abbiamo raccolta una, che non desidera si faccia il suo nome ‘perchè non è importante, quello che conta è l’esperienza e la mia è comune a quella di altre famiglie’. Così inizia il racconto di un’esperienza condivisa da marito e moglie (e non può che essere così) più di 25 anni fa. La prima cosa che capisci a sentire i molti nomi che passano sulle sue labbra è che non basta aprire le porte di casa. Accogliere un ragazzo o un bambino in affido significa aprire la famiglia, la sua vita più intima, ad un estraneo che per quanto piccolo si porta dietro problemi più grandi di lui. ‘Con il bambino ti porti dentro anche la sua famiglia, i suoi genitori, e quasi sempre non è un ingresso pacifico’ spiega. È il giudice che stabilisce di allontanare il minore dalla famiglia di origine, ed è sempre il giudice che stabilisce se, quando, dove e come possono far visita ai figli. Diverso è il caso degli affidi brevi per malattia o di donne immigrate che per brevi periodi devono lasciare l’Italia e sono loro stesse che te lo affidano, anche se formalmente è sempre il Tribunale dei minori. Più spesso, però, i ragazzi in affido hanno una famiglia che non può prendersi cura di loro e probabilmente non riuscirà a farlo neppure in futuro, così rimangono fino alla maggiore età, quando la famiglia affidataria non ha più l’obbligo di tenerli. ‘Non li mandiamo via dopo il compleanno, come si fa se non hanno dove andare?’. Eppure è capitato anche di dire di no a chi se ne approfittava. L’importante ‘è che sappiano che se vogliono sanno di poter contare su di noi, anche quando sono ormai grandi’. Diverso il discorso con quelli che tornano nella loro famiglia, con i quali in genere non ci sono più contatti. ‘È bene che sia così, – spiega – anche perchè noi gli ricordiamo un periodo che per loro comunque è stato difficile e doloroso’. Non sono mancate neppure le difficoltà con i figli naturali, ‘presenza importante perchè sono di esempio’ e per questo ‘è bene che i ragazzi in affido siano più piccoli dei tuoi’. L’affido, scelta difficile e coraggiosa dunque, per la quale è importante la collaborazione con l’assistente sociale, la psicologa, lo stesso giudice, che ti sostengono e ti possono dare consigli su come affrontare le situazioni più difficili. Qualcuno, ci sono stati scandali in passato, lo fa per soldi, per i 350 euro al mese cui hanno diritto le famiglie affidatarie per ogni bambino accolto. ‘Quando abbiamo iniziato il prete che ci consigliava si è raccomandato di non chiedere mai soldi, e così facciamo ancora oggi. Li prendiamo quando li mandano’. Eppure c’è chi pensa di lasciare il lavoro per dedicarsi all’affido, ‘ma non è educativo nei confronti dei ragazzi che crescono pensando di poter non lavorare’. Dunque solo difficoltà? Amare questi ragazzi vuol dire soffrire? ‘C’è molta sofferenza, è vero, – risponde – con i ragazzi entra tanta ricchezza, bella e brutta, ma se non apri la porta non entra neppure la gioia. È sempre bello aiutare i bambini, c’è qualcosa di grande in cambio e sono la pace e la gioia che provi quando vivi un pezzo di paradiso. Magari lo vedi in piena notte quando il bambino si sveglia urlando e a te che gli sei vicino dice ‘grazie perchè mi avete preso”. ‘La nostra scelta – conclude – è nata dalla fede. Loro mi hanno aiutato a viverla in profondità, e la fede ci ha salvati nelle situazioni più difficili’.
L’esperienza di affido di una famiglia
Stazioni quaresimali sull'affido, iniziativa per la Quaresima di carità
AUTORE:
M. R. Valli