Promosso dall’Istituto storico artistico orvietano (Isao) presso palazzo dei Sette a Orvieto si è svolto un incontro con mons. Giancarlo Santi, direttore dell’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Cei sul tema “I beni culturali ecclesiastici, significato e valore”. Abbiamo rivolto a mons. Santi alcune domande sullo stato attuale dei musei ecclesiastici in Italia, e in particolare su come sta procedendo il lavoro di catalogazione e archiviazione informatizzata dei dati sui beni culturali ecclesiastici. All’incontro erano presenti Giuseppe Maria Della Fina, presidente dell’Isao e Carlo Tatta vice presidente vicario dell’Associazione musei ecclesiastici italiani (Amei). Mons. Santi, in occasione del Giubileo sono stati numerosi i musei ecclesiastici e le pinacoteche diocesane aperte in tutta Italia. Qual è la situazione attuale?”Fino ad oggi sono circa 900 i musei aperti e la maggior parte sono concentrati nella regione Toscana (140). La ragione credo sia legata alla storia della regione oltre alla disponibilità di un patrimonio consistente, ma soprattutto ad un atteggiamento conservativo vivo. Una realtà, quella Toscana, interessante, se consideriamo che il Piemonte, regione anch’essa ricca di opere d’arte, ha un numero molto limitato di musei. L’interesse per i musei è presente un po’ dappertutto ma si esprime con modalità ed intensità diverse, anche all’interno della stessa area territoriale”. L’apertura dei musei diocesani sembra abbia riscosso, soprattutto in alcuni centri, un certo interesse tra i turisti.”Certamente questo è un dato significativo, però la connessione turismo-museo a questi livelli si sta attuando soltanto adesso, per cui è difficile esprimere una valutazione. In alcuni casi è clamorosamente evidente. Il museo del duomo di Lucca, per esempio, certamente vive ed è attivo perché i flussi turistici della città sono imponenti. La realtà dei musei ecclesiastici è soprattutto una realtà di piccoli musei, dislocati nel territorio in rapporto ai quali il fenomeno del turismo ha un’incidenza ancora tutta da scoprire. Occorrerà vedere come riusciranno nel tempo a qualificarsi, a definirsi, ad operare. Noi forse siamo troppo legati ad uno schema fisso di museo che è quello che abbiamo ereditato, cioè il grande museo pubblico. La realtà è invece quella di un insieme di piccole istituzioni, collegate tra di loro, molto leggere da un punto di vista istituzionale, ma che funzionano in quanto sono una rete ben radicata nel territorio”. A proposito di rete, come lei saprà, in Umbria è nata una Rete dei musei ecclesiastici. Che cosa ne pensa?”Mi sembra un’idea molto adatta rispetto alla situazione reale sia territoriale, che ecclesiale della regione. L’Italia è un paese in cui esistono tante piccole città e moltissimi piccoli centri, con un numero limitato di grandi città. Credo che l’esperienza che si sta facendo in Umbria è da sperimentare e poi anche da proporre in altre aree. Anzi, di per sé l’esperienza umbra è molto più vicina a quello che la Cei propone di quanto non lo siano altre esperienze dove invece l’associazione dei musei è ancora una realtà di scarsa articolazione, dove ognuno fa capo a sé. Nella rete invece ognuno è sì autonomo, ma si collega agli altri, anche perché bisogna ricordarsi che questi musei sono musei istituzionali, espressione di parrocchie, diocesi. Raramente sono istituzioni autonome: dipendono in tutto. Per cui molto spesso hanno la figura del servizio offerto da una istituzione ecclesiastica, piuttosto che di un’istituzione vera e propria”. A che punto è la catalogazione informatica dei beni culturali ecclesiastici?”E’ ancora nella fase costitutiva delle grandi banche dati. Abbiamo iniziato nel 1996 e dobbiamo finire per il 2005. Voglio far presente però che la catalogazione non è una novità per la Chisa, ma una tradizione iniziata da anni già nelle nostre parrocchie. Il fatto è che ci si è fidati del lavoro del Ministero e quando ci si è accorti che il loro lavoro procedeva secondo tempi lunghissimi siamo intervenuti noi. Purtroppo per il momento siamo solo ad un quarto della catalogazione dell’intero patrimonio”.La Cei si sta muovendo anche per la formazione del personale, soprattutto guide e addetti alla catalogazione e gestione dei musei ecclesiastici.”La Cei sta dando dei fondi per la formazione delle persone, soprattutto giovani, che si occupino di questo tipo di attività. Noi siamo convinti che in questo settore con tutte le sue articolazioni, gestione del museo, delle biblioteche, l’attività conservativa offra in prospettiva possibilità di lavoro nuove. Ma devono essere studiate con molta attenzione. In alcuni casi questo è avvenuto, dove ci sono grandi flussi turistici che hanno dato la possibilità di dar vita a cooperative di giovani. Per realtà piccole, disperse, con flussi turistici minori cosa è possibile fare? La scelta della cooperativa è uno strumento idoneo? Questo è da sperimentare. Il fatto è che bisogna mettere insieme settori diversi, attualmente non collegati, quali la gestione del museo, dei flussi turistici, in alcuni casi la gestione di alcuni edifici, la cura di questo patrimonio monumentale. Probabilmente soltanto mettendo insieme queste diverse opportunità sarà possibile offrire una base di attività sufficiente per far vivere una cooperativa o quant’altro”.