Sabato 23 e sabato 30 gennaio: è il tempo delle piazze. Forse è giusto che sia così: arrivato il momento della conta dei voti in Parlamento, è naturale che ciascuno getti sulla bilancia il peso dei propri numeri, per farla inclinare dalla parte che si ritiene giusta. Certo è che la piazza non è il luogo del ragionamento e del dialogo, ma l’occasione per dire in modo forte e inevitabilmente sommario, a volte un po’ manicheo, le proprie idee e proposte. Dove l’avversario, le sue opinioni e le sue richieste difficilmente trovano spazi di ascolto, e dove anche i migliori pensieri “sanno” di ideologia.
Che dire? Gridino, adesso, le piazze: à la guerre comme à la guerre. Non è così, però, che dovrebbero nascere le leggi, soprattutto quelle che riguardano questioni tanto importanti per la vita e il futuro di un Paese, come il modello di famiglia, di educazione, di relazione tra i sessi. Non sono infatti faccende secondarie, né tanto meno private.
Se le cose stanno andando così, non è però un caso. L’intero dibattito è stato infatti radicalizzato e come falsato da un clima assai pesante, in cui l’innegabile “coscienza sporca” di tanti ambienti – anche ecclesiali – nei confronti delle persone omosessuali e della loro dignità ha dato il destro ai movimenti Lgtb per sventolare lo spettro dell’omofobia su ogni posizione avversa, con la conseguente, indebita appropriazione dei concetti di “progresso”, “civiltà” e “rispetto – riconoscimento dei diritti”.
Tutto ciò ha impedito di affrontare serenamente e seriamente almeno un paio di questioni di fondo. La prima è questa: se l’omosessualità è una semplice “variante naturale del comportamento umano” (Organizzazione mondiale della sanità), così come l’essere mancini, allora nessuna diversità o discriminazione è accettabile sul piano dell’istituto matrimoniale o del rapporto genitoriale: matrimonio in tutto e per tutto ha da essere. Ma è davvero così? È proprio la stessa cosa? È proprio del tutto irrilevante la separazione tra sesso biologico e orientamento sessuale? È veramente ininfluente la complementarità sessuale dei genitori nell’educazione delle nuove generazioni? E dov’è che si origina tale “variante naturale”, visto che la comunità scientifica si divide attorno a diverse ipotesi?
E siamo proprio convinti che basti affidarsi, per decisioni di tale spessore etico e sociale, al giudizio di discipline che non dovrebbero ardire a proporre verità, bensì teorie soggette al cambiamento (come molte volte è accaduto)? Infine, è saggio negare qualsiasi valore a una tradizione giuridica, filosofica e religiosa trans-culturale millenaria, cui si sono ispirate e si ispirano miliardi di persone, considerandola semplicemente il retaggio di un passato da superare?
La seconda è quest’altra: visto che esistono persone, coppie e famiglie omosessuali, si può continuare a ignorare la loro esistenza? Può la collettività non riconoscere persone e formazioni sociali che non possono non essere “naturalmente” portatrici di diritti? Anche in un quadro di piena tutela, l’istituto matrimoniale è una forma veramente adeguata per esprimere la tipicità di un coppia omosessuale? Ci sono comportamenti che debbano rimanere inaccettabili o inammissibili, nel medesimo orizzonte di tutela dei diritti e della dignità delle persone?
Non abbiamo più tempo, purtroppo, per cercare risposte che rendano patrimonio condiviso dal popolo una così importante legge dello Stato. Fuoco dunque alle polveri. Poteva non finire così? Chiediamocelo, perché non sarà certo questo l’ultimo episodio di un processo di revisione culturale e legislativa che mette a tema questioni relative alla persona, alla famiglia e alla vita.
Caro don Paolo, la Fede si manifesta insieme anche pubblicamente, pronti al dialogo, ma nella Verità anche se il rischio è di non venire ascoltati, proprio per questa ragione. Per come sono andate, e, purtroppo, stanno andando le cose, in Italia e nella Chiesa, “poteva non finire così”, se la nostra Fede non fosse tanto scaduta, e non solo nei semplici credenti, come me.
Stimatissimo Monsignore,
nel suo editoriale si fa tante domande, ma poi sostiene di non aver «più tempo, purtroppo, per cercare risposte che rendano patrimonio condiviso dal popolo una così importante legge dello Stato»… Mi scusi, Monsignore, ma non c’è il Wi-Fi in Curia a Perugia?… Perché qualche risposta alle sue domande un cattolico romano, ancor più se Vescovo, può trovarla facilmente e in brevissimo tempo pure nell’Internet, senza affannarsi troppo in giro: se prova a scrivere sulla riga di ricerca di Google, per esempio, «Papa Francesco famiglia», le si apre un elenco di “link”; può allora provare a “cliccare” anche sul primo, ed ecco che appare l’articolo del Pontificium Consilium Pro Familia che riporta le parole che ha detto Papa Francesco venerdì 22 gennaio u.s. nella Sala Clementina del Vaticano, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana (una settimana prima, quindi, del suo editoriale su “La Voce” del 30 gennaio): «“Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione… Se la famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al ‘sogno’ di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità”, famiglia e Chiesa, “su piani diversi, concorrono ad accompagnare l’essere umano verso il fine della sua esistenza. E lo fanno certamente con gli insegnamenti che trasmettono, ma anche con la loro stessa natura di comunità di amore e di vita. Infatti, se la famiglia si può ben dire ‘chiesa domestica’, alla Chiesa si applica giustamente il titolo di famiglia di Dio”. Alla luce di tutto ciò, ha proseguito, “lo ‘spirito famigliare’ è una carta costituzionale per la Chiesa” che, “con rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità -, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può essere vissuta – ha concluso – da tutti i fedeli battezzati»… Mi pare piuttosto chiaro, non trova, Monsignore?… E io sono uno che può vantarsi di aver frequentato, al più, la prima elementare a San Filippo, mica gli studi superiori di Teologia pastorale come lei…
http://www.familiam.org/famiglia_ita/chiesa/00012690_Nessuna_confusione.html
Se poi, Monsignore, prova a “cliccare” dove è scritto “Leggi il discorso integrale”, le si aprirà un’altra scheda contenente, appunto, il testo del Papa, dove Bergoglio scrive tra l’altro che «proprio perché è madre e maestra, la Chiesa sa che, tra i cristiani, alcuni hanno una fede forte, formata dalla carità, rafforzata dalla buona catechesi e nutrita dalla preghiera e dalla vita sacramentale, mentre altri hanno una fede debole, trascurata, non formata, poco educata, o dimenticata»… Ora, Monsignore, mi perdoni, ma da quel che ho letto nel suo editoriale sembra che proprio lei, Pastore ausiliario della Chiesa perugina, non sappia bene dove condurre il suo gregge, nonostante il Papa gliel’abbia ben indicato anche una settimana prima che lei cominciasse a scrivere… Sembra anche quasi – mi perdoni ancora – che proprio la sua fede di Vescovo, che noi vorremmo illuminasse la nostra, piccola, povera e claudicante, abbia forse bisogno di essere «rafforzata», apparendo – soltanto da questo suo scritto, beninteso – «debole e trascurata»…
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/january/documents/papa-francesco_20160122_anno-giudiziario-rota-romana.html
E sì che un esempio di buon Pastore che non ha perso la strada dell’ovile e le risposte le ha trovate, ce l’aveva vicino: «Voglio ricordarvi che il comitato “Difendiamo i nostri figli”, che aveva già organizzato l’appuntamento del 20 giugno a Roma, ora ha ufficializzato un ulteriore appuntamento per il 30 gennaio a Roma per dare voce alle nostre famiglie. Faccio mie le parole del portavoce Massimo Gandolfini: “Non rassegniamoci… noi andremo a dire che cosa crediamo: la nostra visione della famiglia secondo la costituzione italiana e i principi dell’antropologia e dell’etica cristiana”. Sono attese tutte le realtà ecclesiali e anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà, non credenti o appartenenti anche ad altre religioni diverse dalla cristiana, perché si tratta di principi fondamentali, che possano condividere questo gesto. “Andiamo a dire in che cosa crediamo, non per metterci contro qualcuno, ma per includere e non per dividere.” Ecco, fate tesoro di questo comunicato, perché il bene della famiglia ci sta veramente a tutti tanto a cuore» (Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia, alla Messa del 17 gennaio 2016)…
Anche i Vescovi dell’Umbria, del resto, riferendosi al Family Day in una nota della Conferenza episcopale umbra (Ceu), «accolgono con favore e sostengono» il programma espresso dal comitato “Difendiamo i nostri figli”, che ha indetto una manifestazione a Roma il 30 gennaio «per dare voce alle famiglie. Andremo a dire che cosa crediamo: la visione della famiglia secondo la Costituzione italiana ed i principi dell’antropologia e dell’etica cristiana». Nella nota della Ceu si ricorda altresì che alla manifestazione di Roma «sono invitate le realtà ecclesiali e anche gli uomini e le donne di buona volontà che si sentono di condividere questo gesto: cristiani delle diverse confessioni, appartenenti ad altre religioni e anche non credenti»…
http://www.cristianocattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/etica/anche-il-card-bassetti-fa-sue-le-istanze-del-family-day.html
Una posizione chiara da parte della Chiesa madre e maestra, sul solco della nota esortazione agostiniana, «in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas»: unità nelle cose necessarie (le verità di fede e di morale, come le attualissime questioni che riguardano la famiglia, “stepchild adoption” e uteri in affitto compresi), libertà nelle cose dubbie (le opinioni e le scelte quotidiane che non toccano le verità di fede o di morale, come ad esempio l’appartenenza a un partito), carità in tutto…
Mi perdoni ancora per la franchezza, Monsignore, e mi benedica.
Con immutata stima.
Pierfrancesco Zangarelli, Città di Castello, partecipante al Family Day del 30 gennaio 2016, insieme a qualche altro migliaio di pecorelle del gregge dell’Umbria
Carissimo Pierfrancesco, innanzitutto la ringrazio per averci letto e per averci scritto. Come lei giustamente afferma, la Chiesa ha idee ben chiare sulla persona, la famiglia, il matrimonio e la procreazione. Ci mancherebbe! Ma non sono queste ad essere in discussione: si dibatte su una legge che non può essere applicazione del Catechismo, perché la Repubblica Italiana non è uno stato confessionale, e le leggi nascono dal Parlamento e dalla molteplicità di orientamenti presenti nella nostra società.
Ora, è certamente legittimo desiderare che il proprio modo di vedere sia rappresentato e influente, ma, dire questo in piazza, nonostante le affermazioni di segno contrario, significa farlo nello stile della contrapposizione. In certi momenti, ci può stare. Non possiamo però nasconderci che rende il dialogo più difficile, radicalizzando le posizioni e scavando solchi con chi la pensa diversamente. E loro li avremo accanto anche dopo che questa vicenda sarà conclusa, comunque vada. Loro, con cui non potremo non dialogare e a cui dovremo testimoniare l’amore di Dio, come ci ha esortato a fare Papa Francesco a Firenze.
«Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. […] Ma dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. […] La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo […]. La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia. […] Ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune».
Caro Monsignore,
dice bene: «la Repubblica Italiana non è uno stato confessionale, e le leggi nascono dal Parlamento e dalla molteplicità di orientamenti presenti nella nostra società»; l’Italia è infatti uno stato laico – nel senso sturziano del termine – cioè che accoglie tutte le sue componenti individuali e sociali, compresa quella cattolica. Voler invece ridurre al silenzio questa componente come qualcuno vorrebbe (paradigmatico a questo proposito l’atteggiamento del Prof. Umberto Galimberti nella puntata di “Fuori Onda” su La 7 del 7 febbraio u.s.), per cui l’unico cattolico buono è quello che fa le sue “devozioni” nella penombra delle chiese senza permettersi però di manifestare il proprio pensiero culturale, sociale e politico fuori le mura delle sacrestie, non è tuttavia corretta e democratica “laicità”, ma scorretto e oligarchico “laicismo”. Non a caso, il passo da lei riportato del discorso del Papa a Firenze del 10 novembre scorso si conclude con l’affermazione che «i credenti sono cittadini», né più e né meno degli altri, e come gli altri abilitati a parlare, manifestare le proprie convinzioni nei medesimi luoghi e modi degli altri e dialogare con chi ne ha di diverse.
Ma il dialogo serio e costruttivo parte sempre da identità certe, così come i ponti (altra immagine cara al Papa) debbono posare su piloni anche diversi nelle due sponde, ma entrambi solidi: sennò il ponte vacilla, e non serve né a chi sta da una parte né a chi sta dall’altra; e il dialogo diventa allora quella “negoziazione” che Papa Francesco considera improduttiva, proprio perché non tesa al bene comune (la comune necessità di attraversare il ponte, tanto per restare nella metafora), ma al riconoscimento esclusivo del proprio «orientamento», anche se poggiato su fondamenta culturali, sociali e legali incerte e instabili.
Nello specifico, mi pare indubbio che il bene comune sia il riconoscimento dei medesimi diritti individuali «inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» (art. 2 della Costituzione della Repubblica), che debbono essere tuttavia chiaramente distinti dai diritti e dai doveri che competono invece a chi è parte di un istituto giuridico specificamente previsto, quale quello matrimoniale (artt. 29, 30 e 31 della Costituzione della Repubblica).
Come mi pare indubbio che il bene comune sia anche – e soprattutto, visto che sono soggetti più “deboli” degli altri – tutelare i diritti dei bambini, a partire da quello riconosciuto loro dall’art. 7, comma 1 della “Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176: «Il bambino è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi». Il che, nel caso della “stepchild adoption” per le coppie omosessuali e della conseguente pratica dell’utero in affitto che, ancorché vietata in Italia, il ddl attualmente all’esame del Senato di fatto aggira e in qualche modo legalizza se attuata all’estero, sarebbe loro negato.
Non crede anche lei, Monsignore, che queste siano posizioni assai vicina al bene comune?… E non crede invece che posizioni contrarie a questa costituiscano, come afferma il Papa, delle «minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico»?… Non è lecito dunque aspettarsi, da parte dei «cittadini credenti», che «la Chiesa sappia dare una risposta chiara»?… Chi dovrebbe darle, ai «cittadini credenti» umbri, le solide fondamenta della propria identità di cattolici, necessarie per dare il loro « contributo specifico alla costruzione della società comune», in un corretto dialogo con le identità altrui, se non – anche – il giornale dei Vescovi dell’Umbria?…
Il mio povero parroco, Don Torquato Sergenti, era solito ammonirci che «non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre e il silenzio della fede nel mondo è il tradimento della vita cristiana»: credo che sia un insegnamento valido anche in momenti come questi, nei quali qualche sedicente “laico illuminato e progressista” vorrebbe invece ridurre i «cittadini credenti» al silenzio.
Con immutata stima.
Pierfrancesco Zangarelli, Città di Castello
Caro don Paolo, il Catechismo della Chiesa Cattolica parla di tendenze innate riguardo all’omosessualità. Ma come può darsi dunque che tendenze innate non siano naturali?
Caro Matteo, ad essere esatti il CCC parla di tendenze “profondamente radicate”, mentre precisa che l’origine dell’omosessualità – ivi comprese quindi le teorie innatiste – “rimane in gran parte inspiegabile”.
Faccio presente che il dialogo non è proprio esistito per colpa della sola parte proponente questa legge Cirinna. Ricordo che al Circo Massimo si è avuta la giusta reazione di un popolo che non ha trovato interlocutori, ma solo muri di propaganda meschina in tutti i masmedia. E in questo articolo si continua a non far chiarezza.