di Daris Giancarlini
Mi sono ripromesso, quando ho avviato questa rubrica per un settimanale come La Voce, che avrei scrittosoprattutto di cose e persone che conosco.
Questa settimana mi prendo la licenza di salutare una persona che, qualche giorno fa, ha lasciato questo mondo.
Lea aveva 94 anni; era una donna forte, energica, di grande fede. Una moglie e una madre orgogliosa, custode della famiglia. Ma per la quale anche i figli degli altri meritavano consigli e protezione. La sua fede era fatta di molta preghiera, poche chiacchiere, solidarietà fattiva e carità silenziosa. Per lei, nata a metà tra le due guerre, le difficoltà della vita materiale sono state una continua prova di solidità di quei valori umani (dignità, rispetto degli altri e di sé, preferenza per le cose che contano veramente) che poco si possono disgiungere da una fede intesa come linfa vitale e non come semplice sfondo ideologico. Fin qui, una storia come tante, quella di Lea. E non basterebbero a renderla originale neanche gli ultimi 20 anni della sua vita, resi dolorosi dalla malattia. Ma di Lea, e delle altre donne, madri e mogli come lei, bisognerebbe scrivere per rendere attuale, non cancellato dall’oblio, un certo modo di affrontare la vita. Un modo che, stando a quanto raccontano le cronache odierne, non comprende e non pratica più come regola generalizzata il sacrificio nascosto, l’impegno senza tornaconto, la dedizione gratuita verso il prossimo. Non dimenticare Lea e le persone come lei è un impegno che dovrebbero assumere come prioritario tutti coloro che non si rassegnano alla deriva verso l’indifferenza e il rancore. Intanto, Lea, grazie.