La prevaricazione dell’immagine, se è vero che umilia la fantasia quando si tratta della cronaca di una partita di calcio, facilmente diventa profanazione quando c’è di mezzo un argomento di fede. Penso all’orribile trovata di Cecil B. De Mille quando ne I Dieci Comandamenti (ricordate?) affidò ad un lanciafiamme anteguerra e a un vocione da orco artificiale la prima formulazione visiva e orale del cuore della Torah. Quello che vale per l’immagine vale ancora prima per la parola. Ogni immagine che raffiguri Dio e ogni parola che lo riguardi debbono avere ben chiaro il senso della loro radicale inadeguatezza. Debbono sapere che, se un qualcosa riescono a trasmettere su Dio, molto maggiore è quello che di Dio occultano e deformano. La distanza fra Dio e le immagini delle camere digitali, rispetto alla distanza fra Dio e le macchine fotografiche a soffietto, rimane esattamente la stessa. Vi siete domandati come mai nelle sinagoghe e nelle moschee sia rigorosamente vietata ogni rappresentazione figurativa? Solo decorazione geometrica. Perché? Credo che una lezione importante dobbiamo recepirla, in proposito, proprio dall’Islam, e proprio oggi che barbuti e presuntuosi Imam ci provocano dalle varie TV in modo da indurre noi cristiani a rispondere nel modo più indegno per un cristiano, Pan per focaccia.Scrive il prof. Borrmans, uno dei massimi esperti: nell’Islam c’è un’ortodossia accigliata che fa dell’ascesi il culmine dell’esperienza religiosa. Ma grazie a Dio c’è anche chi, pur interpretando il cammino ascetico come costruzione di un superiore rapporto con Dio, rifiuta di identificare questa vicinanza come vero e proprio incontro con Lui, perché la distanza infinita fra Dio e la creatura non potrà mai essere colmata, perché il culto è solo servizio, la fede solo testimonianza e la vita solo sottomissione.Allora il rifiuto dell’immagine è frutto di una trascendenza che impegna l’uomo a ricercare la faccia di Dio senza speranza di vederla e a proclamarne i 99 nomi più belli di Dio pur sapendo che nessuno di essi è, fino in fondo, quello giusto. Ma quel Dio che non può non rifiutargli l’entrata nel suo mistero, tuttavia gli concede abbastanza grandezza per esserne pur sempre il testimone.