Non ci siamo. Ancora una volta, sull’onda dell’indignazione, molte voci si sono levate per dire che occorre una mobilitazione comune per far fronte al degrado di una città, Perugia, e con essa di una regione, l’Umbria, che vede i suoi giovani perdere la vita ogni giorno inseguendo lo sballo. Perdere la vita non vuol dire solo morire ma anche sprecarla nel tentativo di riempire il vuoto che si sente dentro con droga, alcol e sesso. Non ci siamo, dicevamo, perché le istituzioni locali non sembra riescano ad andare oltre le buone intenzioni. Le politiche giovanili del Comune di Perugia sono servizi che vanno dalle biblioteche con internet al Consultorio giovani, dall’Informagiovani ai centri giovanili autogestiti, ai finanziamenti di progetti per sviluppare la creatività (musica, arte) e lo sport. Quello che sembra mancare è la relazione educativa. Tanto per fare un esempio, i Centri giovani sono autogestiti. Il punto è proprio qui: se ci sono solo giovani, non c’è relazione educativa, non c’è crescita. Cosa può fare il Comune? Nel 1997 fu convocato un “Consiglio grande” sulla convivenza e la sicurezza in città. Don Paolo Giulietti, ora vicario generale, al tempo responsbile per la Pastorale giovanile, fece delle articolate e motivate proposte ancora attuali. “Di fronte alla ‘cultura dello sballo’ – scriveva – siamo tutti chiamati a prendere posizione e ad agire”. La prima richiesta era che le politiche comunali in materia di tossicodipendenza dovevano “nascere dalla consultazione di persone veramente esperte” e non da altre, e suggeriva di costituire una “Commissione permanente, composta da rappresentanti delle comunità di recupero, delle associazioni di genitori dei tossicodipendenti, del Sert, dei servizi sociali, delle principali agenzie educative”. Sul fronte prevenzione proponeva all’Amministrazione comunale di promuovere “in ogni Circoscrizione il coordinamento di quanti operano nel mondo dei giovani: scuola, associazioni sportive e ricreative, discoteche, parrocchie, servizi sociali. Bisogna favorire e incentivare l’incontro – concludeva – perché nessuno educa più da solo”. Quindici anni dopo, al “tavolo tecnico” sul disagio giovanile siedono gli assessori comunali alle Politiche sociali e giovanili e allo sport, la Provincia, l’Ufficio scolastico regionale, il Coni, le farmacie comunali e l’Asl 2. Sul territorio non c’è alcun collegamento o coordinamento tra agenzie educative né tra realtà giovanili. Un gruppo di lavoro del tavolo tecnico è convocato il 27 febbraio per ragionare di “azioni in merito a politiche per il contrasto alla tossicodipendenza”. Potrebbe essere l’occasione per decidere di aprire questo “tavolo” anche ad altri che hanno qualcosa da dire sulla questione, non esclusi, per esempio, i responsabili degli oratori? Senza dimenticare il tavolo “Nuove generazioni e famiglia” costituito il 31 gennaio da un gruppo di associazioni con il Cesvol.
Le politiche giovanili? Ancora insufficienti
AUTORE:
Maria Rita Valli