Un’occasione per creare “unione, scambio di esperienze ed ecumenismo tra le Chiese dell’Europa dell’Est e dell’Ovest”. È questo uno degli obiettivi principali indicato dal catalano Josep Taberner Vilar, uno dei due copresidenti del Colloquio europeo delle parrocchie, che ha aperto, il 17 luglio a Nyíregyháza (Ungheria), la 26a edizione dell’evento, dedicato quest’anno al tema “Parrocchie, luoghi di speranza. Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Il taglio ecumenico e sociale. Lo stile di “base”, ma anche ecumenico, dell’evento, si è visto sin dall’apertura con la celebrazione in rito greco-cattolico della divina liturgia di san Giovanni Crisostomo. A presiedere mons. Fülöp Kocsis, vescovo della diocesi di Hajdúdorog, territorio che comprende la città di Nyíregyháza. Il Pastore, intervenendo il giorno seguente ai lavori del Colloquio, ha presentato una Chiesa impegnata in prima linea nell’educazione e nelle opere sociali. “Lo Stato ha aperto questa porta, e anzi il nuovo Governo ci ha incoraggiato a prenderci questo compito – ha affermato il Vescovo. – Oltre a quelle già in funzione, abbiamo intenzione di aprire dieci scuole, quattro case per anziani e piccole case per gli orfani, oltre a cinque collegi universitari”. In Ungheria, su un totale di 6 milioni di cattolici, ci sono 300.000 greco-cattolici: oltre alla diocesi di Hajdúdorog c’è l’esarcato di Miskolc, che ha un nuovo esarca solo da quest’anno dopo esserne stato privato dal 1950. In totale le parrocchie sono 179, i sacerdoti 216 e i seminaristi 55. Nel Paese, durante il periodo comunista, le chiese greco-cattoliche non sono state chiuse, ma i beni e le strutture furono requisite dallo Stato. “Noi speravamo – ha sottolineato il vescovo Kocsis – che dopo il comunismo avremmo avuto la libertà piena, invece è arrivato il cambiamento politico ma siamo comunque vincolati dalle idee del liberalismo e del consumismo che influenzano la nostra società”. Mons. Kocsis ha poi aggiunto che in questo nuovo contesto le parrocchie devono essere un “fuoco di speranza”. All’Ovest… nuova pastorale. A fare un quadro della situazione nelle Chiese occidentali è stato, nello stesso giorno, Hubert Windisch, sacerdote e docente di Teologia pastorale all’Università di Friburgo in Germania, per il quale “nelle parrocchie del centro e nel nord del Continente, ormai, siamo ‘stranieri’ come i cristiani delle origini” e “dobbiamo chiederci qual è il nostro compito” e come “dimostrare la nostra appartenenza a Cristo”. Secondo il teologo, in molti Stati europei si assiste ad un processo rapidissimo di diminuzione, sia quantitativa che qualitativa, del cristianesimo. In questo contesto le parrocchie e i cristiani che le abitano possono “rendere ragione delle speranza che è in loro” se si trasformano in una sorta di “ostensorio”, cioè se adottano uno stile di “trasparenza spirituale”. Nel futuro della Chiesa occidentale si deve dunque sviluppare una “nuova pastorale” fatta con “modestia, dolcezza e rispetto” ma “senza timori”. Con quale grammatica? Questa nuova pastorale necessita di “un linguaggio, di una ‘grammatica’ più fornita per comunicare il Vangelo” ha sottolineato don Luca Bressan, docente di Teologia pastorale al Seminario arcivescovile di Milano, che ha tenuto il filo conduttore dell’intera giornata. Il sacerdote ha ricordato che “le parrocchie, oggi, sono ancora luoghi di incontro e dialogo, capaci di accogliere i poveri: se riusciamo a comunicare tra di noi la nostra fede, siamo capaci di produrre speranza e slancio per il futuro”.