Le parole di Papa Francesco a Bari a conclusione del dialogo

“Cari fratelli e sorelle,

Sono molto grato per la condivisione che abbiamo avuto la grazia di vivere. Ci siamo aiutati a riscoprire la nostra presenza di cristiani in Medio Oriente, come fratelli. Essa sarà tanto più profetica quanto più testimonierà Gesù Principe della pace (cfr Is 9,5). Egli non impugna la spada, ma chiede ai suoi di rimetterla nel fodero (cfr Gv 18,11). Anche il nostro essere Chiesa è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cfr Mt 26,56) o la spada (cfr Mt 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore.

La buona notizia di Gesù, crocifisso e risorto per amore, giunta dalle terre del Medio Oriente, ha conquistato il cuore dell’uomo lungo i secoli perché legata non ai poteri del mondo, ma alla forza inerme della croce. Il Vangelo ci impegna a una quotidiana conversione ai piani di Dio, a trovare in Lui solo sicurezza e conforto, ad annunciarlo a tutti e nonostante tutto. La fede dei semplici, tanto radicata in Medio Oriente, è sorgente da cui attingere per abbeverarci e purificarci, come avviene quando torniamo alle origini, andando pellegrini a Gerusalemme, in Terra Santa o nei santuari dell’Egitto, della Giordania, del Libano, della Siria, della Turchia e degli altri luoghi sacri di quelle regioni.

I CONFLITTI IN CORSO

SIRIA. Il regime del presidente Bashar al Assad, appoggiato da Russia e Iran, sta riconquistando le zone del Paese ancora nelle mani degli oppositori e dei gruppi ribelli. I cristiani nel Paese oggi sono meno del 2%.
IRAQ. Qui lo sforzo governativo, supportato dalla coalizione internazionale, si è concentrato con successo esclusivamente contro l’Isis. Intanto l’Iraq ha visto ridursi la minoranza cristiana: da 1,5 milioni di prima della guerra a circa 300 mila fedeli.
ISRAELE-PALESTINA. Permangono le difficoltà dei cristiani locali, in maggioranza arabo-palestinesi, sempre più propensi a emigrare all’estero, lontano dall’occupazione militare israeliana e dall’instabilità dovuta alle tensioni intra-palestinesi tra Hamas (Striscia di Gaza) e Al Fatah (Cisgiordania).
LIBANO E GIORDANIA. Sono i due Paesi che accolgono, con la Turchia, il numero più alto di rifugiati siriani, e in misura minore anche iracheni. L’equilibrio interno dei due Paesi è fragile. La disoccupazione, i sistemi sanitario e scolastico messi a dura prova dai rifugiati, la carenza di servizi favoriscono l’emigrazione. Anche il numero dei cristiani si assottiglia, ma, rispetto ad altre zone, regge meglio.
EGITTO. Per dare maggiore stabilità e sicurezza, il presidente Al-Sisi potenzia le infrastrutture; migliora i rapporti con la Chiesa copta, che rappresenta oltre il 10% della popolazione, e le relazioni con i Paesi della regione, proponendosi come mediatore di conflitti in corso come quello tra Hamas e Israele.
YEMEN. La guerra in questo Paese, uno dei più poveri del mondo, dura da oltre tre anni e vede coinvolte da una parte Arabia Saudita ed Emirati Arabi, e dall’altra l’Iran sciita che sostiene i ribelli houthi . Una guerra che quasi nessuno racconta e che sta provocando migliaia di morti e feriti, molti dei quali bambini. Nello Yemen sono attive 4 parrocchie, e non sono mancati attacchi alle comunità cristiane.

Incoraggiati gli uni dagli altri, abbiamo dialogato fraternamente. È stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità. Così pure la pace: va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi: uomini di buona volontà e di credo diversi che non hanno paura di parlarsi, di accogliere le ragioni altrui e di occuparsi gli uni degli altri. Solo così, avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace.

Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente!

La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione. Ne è vittima soprattutto la povera gente. Pensiamo alla martoriata Siria, in particolare alla provincia di Deraa. Lì sono ripresi aspri combattimenti che hanno provocato un ingente numero di sfollati, esposti a sofferenze terribili. La guerra è figlia del potere e della povertà. Si sconfigge rinunciando alle logiche di supremazia e sradicando la miseria. Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto. Ma la violenza è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti. Non si dimentichi il secolo scorso, non si scordino le lezioni di Hiroshima e Nagasaki, non si trasformino le terre d’Oriente, dove è sorto il Verbo della pace, in buie distese di silenzio. Basta contrapposizioni ostinate, basta alla sete di guadagno, che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli sul fatto che il mercato dell’energia detti la legge della convivenza tra i popoli!

Per aprire sentieri di pace, si volga invece lo sguardo a chi supplica di convivere fraternamente con gli altri. Si tutelino tutte le presenze, non solo quelle maggioritarie. Si spalanchi anche in Medio Oriente la strada verso il diritto alla comune cittadinanza, strada per un rinnovato avvenire. Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti.

Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato dalla Comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli.

La speranza ha il volto dei bambini. In Medio Oriente, da anni, un numero spaventoso di piccoli piange morti violente in famiglia e vede insidiata la terra natia, spesso con l’unica prospettiva di dover fuggire. Questa è la morte della speranza. Gli occhi di troppi fanciulli hanno passato la maggior parte della vita a vedere macerie anziché scuole, a sentire il boato sordo di bombe anziché il chiasso festoso di giochi. L’umanità ascolti – vi prego – il grido dei bambini, la cui bocca proclama la gloria di Dio (cfr Sal 8,3). È asciugando le loro lacrime che il mondo ritroverà la dignità.

Pensando ai bambini – non dimentichiamo i bambini! –, tra poco faremo librare in aria, insieme ad alcune colombe, il nostro desiderio di pace. L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza (cfr Gen 8,11). E il Medio Oriente non sia più un arco di guerra teso tra i continenti, ma un’arca di pace accogliente per i popoli e le fedi. Amato Medio Oriente, si diradino da te le tenebre della guerra, del potere, della violenza, dei fanatismi, dei guadagni iniqui, dello sfruttamento, della povertà, della disuguaglianza e del mancato riconoscimento dei diritti. «Su te sia pace» (Sal 122,8) – insieme: “Su te sia pace” [ripetono] –, in te giustizia, sopra di te si posi la benedizione di Dio. Amen.”