Centoundici cooperative aderenti (su 652 nazionali), 4.000 soci e oltre 100 milioni di euro di fatturato. Sono questi i numeri di Federsolidarietà Umbria, la sezione di Confcooperative che si occupa del settore sociale. Un settore che sta attraversando la più importante sfida al cambiamento degli ultimi decenni, imposta dalla crisi e dalla ‘mannaia’ che ha investito i fondi pubblici.
Il fronte è duplice: da una parte, uscire dalla dipendenza nei confronti della pubblica amministrazione e rivolgersi a committenti privati mettendosi sul mercato; dall’altra, cambiare abito senza cambiare identità, ovvero farsi impresa – in termini di comunicazione, innovazione e spendibilità dei servizi – senza assumere il valore del fare impresa, ovvero quello di produrre utili. Perché “il guadagno economico non è la finalità delle cooperative sociali, che sono chiamate per natura, in quanto entità no-profit, a reinvestire nel territorio le loro entrate”, spiega Carlo Di Somma, presidente di Federsolidarietà appena riconfermato per il prossimo quadriennio.
Ad oggi, il modello del welfare funziona, in soldoni, così: l’Ente pubblico fornisce un servizio la cui gestione viene affidata ad un soggetto tramite gara d’appalto. Vince chi ottiene il punteggio più alto nei vari parametri – “a insindacabile giudizio” della commissione esaminatrice – e offre i propri servizi al minor prezzo.
Un meccanismo relativamente semplice, che si inceppa, però, su alcuni ingranaggi. Il primo: il costo. “Il tariffario regionale che regolamenta i prezzi dei servizi socio-sanitari – dice Di Somma – è fermo al 2009. Il tariffario prevedeva due voci: il costo del lavoro più un 12,5% di costi generali. Ma dal 2009 ad oggi il solo costo del lavoro è salito del 13%. I conti sono presto fatti. Ne traggono vantaggio le grandi realtà nazionali, a discapito delle medio-piccole cooperative regionali. In questo modo, si depaupera il territorio non soltanto in termini occupazionali”.
Il secondo “ingranaggio” poco oleato riguarda la normativa. Oltre all’aggiornamento del tariffario, infatti, il terzo settore è in attesa del Regolamento regionale per capire verso quale modello l’Ente pubblico sia indirizzato e aprire un tavolo di discussione tra le parti. Ad oggi, una parte del percorso dei lavori è iniziato, ma occorre fare più in fretta.
“Le nostre richieste sono chiare e puntano a un ribaltamento del modello attuale”, aggiunge Di Somma. Il modello proposto da Federsolidarietà sarebbe il seguente: l’Ente pubblico – in questo caso la Regione – ha il compito di programmare e normare, emanando un “pacchetto” di requisiti a cui dovranno attenersi tutte le cooperative sociali che vorranno ottenere la gestione di servizi. “Requisiti ferrei, chiari e pesati tra qualità e costi, che siano piena garanzia di determinati standard di offerta”, dice ancora Di Somma. A questo punto, tutte le cooperative dotate di tali requisiti andranno a costituire un elenco aperto, da cui – ed è questa la vera novità – il cittadino o soggetto di varia natura sarà libero di scegliere a chi affidare il proprio servizio.
“In questo modo – sottolinea Di Somma, puntualizzando il terzo ‘ingranaggio’ difettoso, quello relativo ai controlli – si crea automaticamente un doppio canale di monitoraggio della qualità effettiva dei servizi offerti. Da una parte, l’Ente pubblico, non dovendosi più preoccupare di affidare gli appalti, è più libero e in forze per dedicarsi ai controlli. Dall’altra, come avviene nel libero mercato, sono i fruitori stessi del servizio, i cittadini, a poter vigilare sulla sua qualità, sostituendola nel momento in cui non è rispettata”.
Aprirsi al libero mercato significa, però, inevitabilmente, sottostare alle sue regole. Il presidente Di Somma ne è consapevole e, infatti, ammette: “Non tutta la cooperazione è pronta a questo cambiamento. Per stare sul mercato, occorre rimettersi in discussione e investire a tutti i livelli, da una maggior capacità comunicativa alla formazione continua del personale. Non a caso, stiamo lanciando dei progetti di formazione al management, perché amministrare una cooperativa non è per tutti e da tutti. Alla fine, ci sarà una ‘selezione naturale’, per cui è giusto che resteranno solo le migliori”.