Settantacinque anni fa san Francesco veniva proclamato patrono d’Italia da Pio XII, insieme a santa Caterina da Siena. Era un periodo in cui il regime fascista aveva ottenuto grandi consensi; quella scelta era segno di una nazione pacifica e serena, che nel Santo di Assisi pensava di potersi rispecchiare in quanto, come fu detto, san Francesco “è il più santo degli italiani e il più italiano tra i santi”. Quest’ultima notazione si poteva riferire – più che allo spirito francescano, così distante dallo spirito del regime – agli scritti di Francesco, che costituiscono esempi originari della nascente lingua italiana, si pensi soprattutto al Cantico delle creature. Negli anni successivi, fino a oggi, la devozione o la stima anche da parte di non cristiani e non credenti sono andate crescendo. I motivi sono diversi, e l’attuale Pontefice li ha riassunti nel momento in cui, in maniera sorprendente – qualche protestante ha detto perfino “provocatoria” – ha scelto di chiamarsi Francesco. Tra i motivi della scelta papale e della crescente fama del Santo (non amo chiamarlo “il Poverello”, essendo un gigante della storia) è l’aspetto della pace, sia per le parole del saluto “pace e bene” da lui utilizzato, sia per l’esempio della sua vita, e in particolare perché in tempo di Crociata si recò, non per caso ma per sua precisa volontà, a parlare con il sultano d’Egitto Melek al-Kamel. Questa storia è nota, credo, a tutti, e non è il caso di raccontarla nei dettagli. Ma il suo significato è quanto mai chiaro in quel contesto: siamo alla quinta Crociata in atto, e Francesco, disarmato messaggero di Cristo, va dal nemico in guerra (si capisce perché i musulmani definiscano “Crociata” ogni azione dell’Occidente contro un Paese a maggioranza islamica) e pensa di convertirlo. L’incontro andò bene… il Sultano non si convertì, ma i due strinsero amicizia e Francesco ebbe dei regali come pegno di pace.
Rileggere e ripensare questa storia oggi, quando in nome di Allah una rilevante corrente politico-religiosa del mondo musulmano giura di voler distruggere gli infedeli dell’Occidente, suscita una serie di interrogativi (non si parla degli “infedeli” dell’Oriente, indiani e cinesi, che sarebbero i veri infedeli secondo l’islam, mentre i cristiani dovrebbero essere considerati con un certo rispetto in quanto “uomini del Libro”, i seguaci di un Profeta considerato tale dal Corano, e figlio di una Vergine). Ma chi sono questi, che vogliono issare bandiere nere sulla Casa bianca e arrivare a Roma, questi tagliatori di teste che non hanno paura di uccidere perché – dicono – è un modo per dare gloria ad Allah, e neppure di morire, perché andrebbero sicuri in paradiso come martiri della causa di Dio? In quale abisso di ignoranza e barbarie sono immerse le loro menti farneticanti? Di chi sono figli? In quale scuola si sono formati? Chi li finanzia? Chi chiude gli occhi di fronte ai loro massacri di popolazioni cristiane? Il grande mondo musulmano pare che cominci a rispondere ad alcune di queste domande e a prendere le distanze da questi folli che distruggono non solo le chiese ma anche le moschee che ritengono eretiche, cioè non allineate con la loro strategia politica.
Per parte nostra, facciamo bene a celebrare il Patrono d’Italia con solennità e a stringerci con viva partecipazione alla grande famiglia francescana che ha il suo centro e il suo punto di riferimento nella nostra regione Umbria. Fa bene il presidente Matteo Renzi a sintonizzare la sua chiamata al risveglio per un’Italia stanca e sfiduciata con il messaggio di letizia e speranza per tutti. Rimanendo tuttavia pronti e prudenti nell’operare realisticamente per la pace nel mondo. Non sarà fuori luogo, infatti, ricordare che dopo la visita al Sultano avvenuta nel 1219 vi fu, un anno dopo, un triste seguito nella vicenda dei cinque frati francescani decapitati a Marrakesh (Marocco) nel 1220. Martiri della pace predicata secondo il Vangelo di Gesù Cristo.