di Pier Giorgio Lignani
Segni dei tempi. Durante i lunghi lavori del Concilio ecumenico Vaticano II tutte le discussioni si svolgevano rigorosamente in lingua latina, così come a quei tempi si parlava in latino nelle Università pontificie, e, almeno ufficialmente, nella Curia romana.
Ormai non si parla più latino neppure in Vaticano, e questo non sorprende. Mi ha sorpreso molto, invece, leggere pochi giorni fa il comunicato della sala stampa del Vaticano riguardo ai lavori del ristrettissimo Consiglio dei cardinali, quelli che “contano veramente”, presieduto personalmente dal Papa. Argomento del giorno: il bilancio del Vaticano.
Dunque, il comunicato dice che gli eminentissimi “hanno affrontato la questione relativa alla riduzione degli operating costs della Santa Sede… bisognerebbe realizzare job descriptions per rendere più efficace il lavoro… si richiede un longterm plan per ridurre i costi… è stata proposta l’elaborazione di multi-year budgets…”.
In questo testo colpisce, più che l’uso di parole inglesi, il fatto che le abbiano usate quando non c’era nessun bisogno di farlo. Non si trattava, cioè, di termini tecnici intraducibili. Si poteva perfettamente dire, invece che operating costs, costi di esercizio; invece di job descriptions, analisi delle mansioni; invece di longterm plan, piano di lungo periodo, e invece di multiyear budgets, preventivi pluriennali.
Non si trattava neppure di un modo per aiutare eventuali lettori stranieri. Se uno non capisce l’italiano, non gli serve a nulla che sia scritta in inglese solo qualche parola, a caso, qua e là; gli devi dare la traduzione integrale del testo. E infatti la Sala stampa del Vaticano fornisce anche le traduzioni in diverse lingue.
Il testo italiano è per gli italiani, e se ci metti dentro parole inglesi in ordine sparso, lo rendi meno chiaro a danno proprio di coloro ai quali è diretto. Possibile che comunicatori di professione non se ne rendano conto? “Signora mia, non ci sono più le stagioni” e anche il Vaticano non è più quello di una volta.