Papa Francesco, da buon Pastore che “odora” di pecore, e cioè conosce per assidua frequentazione il gregge del buon Dio, ci sta invitando, con le sue catechesi a presa diretta, ad avere cura del gregge, sia quando le pecore stanno bene perché possano star meglio, sia quando si ammalano. A dir la verità, la nostra è una stagione di sbrancamento: le pecore, portate al pascolo in altura dove ci sono più sapori (penso alla nostra società stracarica di messaggi, di proposte, di ammiccamenti d’ogni genere), si sono smarrite e alla sera non ritornano più all’ovile.
Il pastore, cui è affidato il gregge, sente tutta le responsabilità di questo sbrancamento e si pone alla ricerca delle smarrite. È una storia antica, che ha già trovato posto nella predicazione di Gesù (Gv 10,1-21), ma soprattutto è esperienza recentissima, per la quale il Concilio indicò già le coordinate di una nuova evangelizzazione, della quale si sono fatti espliciti banditori sia Papa Giovanni Paolo II con l’Anno santo della Redenzione e la sua terna di indicazioni operative (nuovo fervore degli evangelizzatori, nuovi metodi, nuovi linguaggi) e con la vasta mobilizzazione di gente (Giornate mondiali di giovani e di famiglie), sia Papa Benedetto XVI con un Sinodo e una Congregazione apposita e l’indizione dell’Anno della fede. Vanno prendendo piede anche alcune specifiche iniziative sulla linea di una formazione permanente senza la quale non c’è ripresa, ricercando le pecore smarrite anche mediante fedelissimi “cani da pastore”, che diano vita a “battute di caccia” in vario modo: iniziative responsabilizzanti per i giovani, singolari proposte di “arditi” nelle piazze, catechesi sistematiche nei tempi forti dell’anno – e sempre -, cliniche per i matrimoni malati, vasta e insistita operosità a piccoli gruppi con i benemeriti, ed elogiati anche dai Papi, movimenti ecclesiali, missioni ad gentes, aiuti diffusi ai poveri con una Caritas a pieno regime, ecc. Papa Francesco con i suoi interventi ci sta insegnando anche un approccio semplice e affettuoso con le persone, “sapendo anche noi di pecora”, com’è proprio di chi è a contatto con la loro vita e i loro problemi, e in particolare con il farsi carico delle persone nel bisogno. È quello che pure Papa Benedetto ci aveva indicato di fare, chiedendo tra l’altro di inventare “istituzioni di prossimità” già nella Caritas in veritate del giugno 2009 (n.36-39). Una migliore organicità di interventi, secondo le indicazioni del Sinodo dei vescovi, la offrirà l’atteso documento magisteriale di sintesi.
È certo però che, per recuperare le pecorelle smarrite, bisogna lasciar le vecchie comode abitudini, metterci in cammino e osare di più. È difficile che le pecore perdute tornino da sole a casa, perché non ne conoscono la via. Se non sapesse di ricercatezza letteraria, verrebbe voglia di ricordare le profetiche e sconosciute Lettere agli uomini del papa Celestino Sesto del troppo presto dimenticato Giovanni Papini, che nel 1946 le aveva dedicate “agli uomini con disperata speranza”. Lo stesso papa Celestino, indirizzando una preghiera a Dio, gli ricordava che gli uomini d’oggi “son pure i tuoi figlioli, benché ti abbiano abbandonato per le carrube dei porci”. E tuttavia “per amore degli uomini disobbedienti e disconoscenti Ti facesti appendere alla croce, ma oggi non v’è uomo che non sia inchiodato e squarciato sopra una croce, fatta dalle sue stesse mani o da quelle dei suoi nemici… Anche questa generazione adultera, perciò, Ti chiede un segno e, nonostante che non lo meriti, Tu lo darai perché la Tua pietà fu sempre più forte della Tua giustizia”.