Succede in una scuola italiana: una docente critica l’elaborato di un suo alunno (“screditandolo” davanti ai compagni: così verrà accusata) e qualche giorno dopo si vede arrivare i genitori che la criticano pesantemente e quasi la aggrediscono fisicamente. Al punto che la stessa docente, successivamente, querela la mamma e il papà “esuberanti”. Papà che, tra l’altro – è un elemento di contorno, ma fa riflettere anch’esso – si era qualificato in modo aggressivo come poliziotto. E papà, ancora, che una volta ricevuta la querela, e temendo ripercussioni anche sul proprio lavoro, fa marcia indietro: con la moglie torna dall’insegnante a chiedere scusa per i minuti di follia, chiedendo appunto che la vicenda si fermi lì. La notizia, sui siti di informazione, ha scatenato una ridda di commenti dei lettori, tra l’altro coinvolti dall’immaginare il passo successivo: l’insegnante deve accontentarsi delle scuse? O andare avanti a tutela della sua dignità e di quella di tutta la scuola? Naturalmente bisognerebbe saperne di più, tuttavia il caso arrivato ai giornali non è così strano o anomalo. Succede talvolta, infatti, che si sviluppi un corto circuito tra docenti e genitori in cui sostanzialmente domina l’incomunicabilità. Non di rado le famiglie mettono in discussione l’operato degli insegnanti, difendendo “a oltranza” (a torto o a ragione) i propri pargoli. Di recente, il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria, parlando di scuola media ha avuto l’occasione di riprendere i dati di alcune ricerche, sottolineando tra l’altro proprio un eccesso di “protettività” da parte dei genitori, più evidente oggi che in passato. Il nodo del rapporto docenti-famiglie è decisivo. A partire, è chiaro, da una professionalità dei docenti che deve essere verificata. Professionalità che permette di tenere sotto controllo i processi complicati che si svolgono a scuola, avendo attenzione alle dinamiche degli allievi.
Così, ad esempio, si può valutare se una critica manifesta a un ragazzo in classe diventa o meno una occasione di “screditamento” e se un richiamo è occasione di frustrazione insensata o di crescita. Si tratta di questioni molto delicate che richiedono collaborazione e comprensione da parte di tutti gli altri soggetti coinvolti con “quel” ragazzo. A cominciare dai genitori. E qui si pone la questione del rispetto e della fiducia, che non significa evitare critiche e confronti. Il caso riportato dai giornali accende i riflettori una volta di più su meccanismi molto fragili: come e fino a che punto collaborare tra famiglia e scuola? Talvolta è anche vero che i genitori si trovano messi a margine, quasi nell’angolo, di fronte a decisioni e situazioni che non capiscono e alle quali non sanno come reagire. È una responsabilità primariamente della scuola – perché professionalmente attrezzata – aiutare a superare questo gap, impegnarsi nella direzione di una comunicazione sempre più efficace e nella crescita di un clima di cooperazione e condivisione con le famiglie (che hanno, certamente la loro parte da fare). Tutelando la serietà dell’istituzione, promuovendo la facilità dei rapporti, stando attenta alla cura di tutti i passaggi. Anche i casi-limite, come quello da cui siamo partiti, aiutano a riflettere sulle tante prassi quotidiane, spesso, per fortuna, molto positive.