Due uomini si incontrano lungo la strada che attraversa il deserto della Giudea, e da Gerusalemme porta a Gerico. Il primo ha passato un brutto quarto d’ora: assalito dai briganti, viene derubato di tutto, percosso a sangue e abbandonato mezzo morto in terra. Il secondo è uno straniero, che una inimicizia si potrebbe dire ‘storica’ con gli israeliti rende non bene accetto – “I samaritani erano disprezzati dai giudei a causa di diverse tradizioni religiose”, ha ricordato Papa Francesco all’Angelus di domenica – eppure non ha dubbi e soccorre l’uomo: “Passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione”, scrive Luca nel Vangelo.
Lungo quella stessa strada sono passati altri due uomini, un sacerdote e un levita, cioè due persone addette al culto nel Tempio del Signore, ma nessuno dei due si è fermato: “Vedono quel poveretto, ma passano oltre senza fermarsi. Invece il samaritano, quando vide quell’uomo, ne ebbe compassione, dice il Vangelo. Si avvicinò, gli fasciò le ferite, versandovi sopra un po’ di olio e di vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e pagò l’alloggio per lui”. Il samaritano “si prese cura di lui: è l’esempio dell’amore per il prossimo”, dice Papa Francesco nel suo primo Angelus da Castel Gandolfo, recitato dal portone del palazzo pontificio, tradizionale residenza estiva dei Papi, anche se Francesco l’estate la passerà a Santa Marta e tornerà nella cittadina dei Castelli romani solo a ferragosto.
Vedere la sofferenza di una persona, anche di un ‘nemico’, e farsi prossimo: “È questo il gesto che compie il samaritano. Anche agli altri due uomini è data la possibilità di obbedire al comandamento di Dio: amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il tuo prossimo come te stesso”. Luca fa ricordare allo scriba – un maestro della Legge di Dio – un comandamento che si richiama al Deuteronomio e al Levitico, due dei cinque libri del Pentateuco che, nella tradizione ebraica, costituisce la Torah cioè la Legge, e rappresenta il cuore della Bibbia ebraica e della rivelazione di Dio al Suo popolo.
Nella risposta che Gesù fa dire allo scriba, a proposito della domanda “cosa devo fare per ereditare la vita eterna”, emerge da un lato il rispetto per la Legge, ma, ancor più, il calare questa Legge nella pratica quotidiana: amare Dio e amare il prossimo. Così Gesù gli dice: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. Il samaritano insegna semplicemente ad amare senza altre preoccupazioni se non quella di aprirci all’altro, di essergli accanto. E se lo scriba chiede “chi è il mio prossimo”, Gesù, narrando la parabola del buon samaritano, e ricordando i due che non si sono fermati a soccorrerlo, chiede “chi è stato prossimo”. Una prospettiva diversa, che fa dire al Papa: “Gesù fa vedere che il cuore di quel samaritano è buono e generoso e che, a differenza del sacerdote e del levita, lui mette in pratica la volontà di Dio, che vuole la misericordia più che i sacrifici. Dio sempre vuole la misericordia e non la condanna verso tutti. Vuole la misericordia del cuore, perché Lui è misericordioso e sa capire bene le nostre miserie, le nostre difficoltà e anche i nostri peccati. Dà a tutti noi questo cuore misericordioso. Il samaritano fa proprio questo: imita la misericordia di Dio, la misericordia verso chi ha bisogno”.
La domanda che la parabola ci chiede di farci ogni volta che troviamo una persona, un uomo sulla nostra strada, non è tanto “chi è l’altro per me”, ma piuttosto “chi sono io per l’altro”.
Il samaritano è una persona che non conosce la Legge come lo scriba, il levita, il sacerdote del Tempio, ma Luca ci dice che semplicemente la vive; e di fronte all’uomo sofferente che gli chiede aiuto, non si pone domande ma agisce con compassione. Si fa prossimo, si china sull’umanità sofferente. Luca in sostanza ci dice che il samaritano è Gesù che si china su ciascuno di noi, fascia le nostre ferite e ci affida alla comunità, alla Chiesa, per essere curati e guariti.