Come un fulmine a ciel sereno: il tenente Colombo è malato di Alzheimer. Il Signore, Padre/Agricoltore, nel potare uno dei miliardi di tralci innestati nella vite di tuo Figlio, stavolta ha avuto la mano pesante. Privato di quella sua straordinaria capacità di connettere cose, eventi e comportamenti apparentemente del tutto estranei tra di loro, il tenente Colombo non è più nessuno. O – meglio – è pronto per il gran balzo, quello che lo porterà là dove scoprirà con gioia che quelle sue eccelse capacità investigative sono appannaggio anche degli oligofrenici, di quelli che in vita loro avevano difficoltà a connettere. Connettere il fatto d’aver pigiato l’interruttore con il fatto che s’era accesa la luce: fu proprio questo il secondo dei due ‘obiettivi massimi’ che nel 1978, quando lo portai a New York per una visita al Rusk Institute, tutt’e tre le équipe che lo visitarono assegnarono a mio figlio Franco; il primo dei due ‘obiettivi massimi’ era il contenimento dei suoi processi fisiologici (‘Verrà il tempo che i suoi bisogni non se li farà più addosso’). Fra parentesi, i paletti di confine che la scienza gli aveva assegnato, Franco ha cominciato a polverizzarli subito, di slancio. Un giorno il Dio di tutti restituirà a Colombo l’intelligenza acuta e sorniona, quel suo procedere per intuizioni folgoranti ma sempre recuperate all’ultimo momento, mentre usciva e aveva già in mano la maniglia della porta. L’origine italiana alludeva ad un pressappochismo formale coniugato con la genialità della intuizioni sostanziali.Quel suo impermeabile tutto ciucignato, a prima vista sempre perdente di fronte ai vestiti griffati che indossava la gente furba, furbissima che inutilmente sperava di ingannarlo. Quel mozzicone di sigaro che teneva in mano fin dalla notte di tempi, e faceva pensare (Dio e don Elio mi perdonino il paragone!) al roveto di Mosè, che brucia e non si consuma. E la moglie, un’onnipresente che non compare mai, ma la si intuisce, saggia regina della casa e vanesia cultrice di soap opera il cui protagonista si chiama Palomo. E la vecchissima Peugeot del 1959, niente affatto in soggezione accanto alle bruttissime limousine lunghe mezzo chilometro. E iI cane. Basso e lungo anche lui, trollo: Colombo non ha trovato tempo per dargli un nome: ‘Cane’ era e ‘cane’ è rimasto. Quando ho potuto, non mi sono mai perso un episodio della serie Colombo. Avevo coscienza che, dopo i modelli di assoluta efficienza con i quali riempiono i mercati dell’immagine (padre alto mt. 1,87, madre grassottella e fulgidamente sorridente, figlio con i capelli biondi e gli occhi chiari, figlia con la minigonna che le calza a pennarello), gli americani adesso mi stavano vendendo anche la caricatura di quei modelli. Ma, nonostante questo’ grazie, Peter Falk, è stato un piacere conoscere e tornare a conoscere gli exploit del tuo tenente Colombo.
L’Alzheimer del ten. Colombo
L'abatjour
AUTORE:
a cura di Angelo M. Fanucci