È stato uno degli ultimi vescovi ad essere stato nominato da Giovanni Paolo II, sicuramente l’ultimo consacrato a Roma, il 19 marzo, pochi giorni prima della morte del pontefice. Henryk Hoser, polacco, è dal 22 gennaio scorso segretario aggiunto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e presidente delle pontificie opere missionarie.
Per dieci giorni mons. Hoser si è unito ai 150 studenti stranieri delle pontificie università attualmente residenti a Terni, per perfezionare il suo italiano.
Cosa ha significato, per lei, essere l’ultimo Vescovo ad essere stato nominato da Giovanni Paolo II?
‘Sono stato molto legato a Giovanni Paolo II, non soltanto per le nostre radici comuni, ma anche per la sua universalità. Papa Wojtyla è stato un grandissimo missionario, una guida per il mondo intero’.
Oggi si parla molto di Africa. Cos’è che non viene detto?
‘In realtà io credo che viviamo in un periodo di grande silenzio per l’Africa, di completa assenza dell’Africa nella vita del mondo. Dopo la caduta del comunismo la situazione è molto peggiorata. La nostra responsabilità è grande: ogni giorno l’Africa viene derubata, è fatta oggetto di una continua rapina. Siamo arrivati al punto che la situazione è addirittura peggiore rispetto al periodo coloniale’.
Cosa pensa del grande movimento per la cancellazione del debito?
‘Ho l’impressione che siano cose che servono solo a dare l’impressione che ci si sta occupando dell’Africa, ma la verità è che non vedo un cambiamento notevole nella politica mondiale. L’Africa ha già pagato questi debiti. Ora sono gli interessi che sta pagando. Si tratta di soldi che se non venissero restituiti non peserebbero sull’economia mondiale, ma che servono alle grandi potenze a mantenere una dipendenza e continuare a tenere le mani sulle materie prime. Allora non serve a niente cancellare il debito. È la politica che deve cambiare’.
E cosa andrebbe fatto?
‘Investimenti sull’autonomia. Lasciare libertà a questi paesi, ma è chiaro che questo non è negli interessi delle grandi potenze e delle multinazionali’.
E in questo tragico scenario quale è il ruolo della Chiesa? Come è cambiato il ruolo dei missionari?
‘Un tempo si andava in Africa per convertire al cristianesimo, oggi si offre un sostegno concreto, ma soprattutto si porta speranza e rispetto. La Chiesa, poi deve rivolgersi ai potenti del mondo per chiedere giustizia. Giovanni Paolo II lo ha fatto tante volte, purtroppo senza grandi risultati’.
Forse si dovrebbe agire anche nel concreto, rifiutando di legittimare chi è responsabile dei crimini in Africa.
‘Certamente, ma innanzitutto bisogna impegnarsi nell’informare l’opinione pubblica. Ci sono già alcuni canali, da questo punto di vista, come le agenzie Misna e Fides, ma non è sufficiente. Anche il Papa, con i suoi tanti viaggi, ha contribuito a far uscire l’Africa dall’anonimato’.
Pensa che anche le Gmg potrebbero rappresentare uno strumento, da questo punto di vista? Si potrebbe andare in Africa?
‘C’è il problema delle infrastrutture, ma è una buona idea e penso che, magari in Sudafrica, si farà. È importante far conoscere ai giovani l’Africa, la sua vita, i suoi problemi’.
In cosa risiede la speranza per l’Africa?
‘In primo luogo nell’educazione. Il primo mezzo per emanciparsi dalla povertà è l’istruzione. Il grande dramma di queste società è l’ignoranza. La gioventù che finisce a combattere nelle milizie è quella completamente priva di qualsiasi prospettiva di vita; ragazzi che di fronte a sé hanno solo la guerra. Per questo come congregazione stiamo cercando di mantenere il sistema dei seminari minori. Molti dei ragazzi che studiano in seminario poi non diventano preti, però ricevono gli strumenti che gli serviranno a costruirsi una vita, a riscattarsi dalla povertà’.