Educare è una “missione”, una “vocazione” e un’“opera comunitaria”. Mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, ha portato un’ampia riflessione sulla sfida educativa al convegno nazionale promosso a Roma dall’Azione cattolica dei ragazzi dal 6 all’8 dicembre. Tre giorni durante i quali gli 800 partecipanti provenienti da 130 diocesi di tutta Italia hanno ascoltato e dialogato con pedagogisti, insegnanti, psicologi, comunicatori, sacerdoti, concentrando l’attenzione sulla figura dell’educatore e sulla relazione educativa che si instaura con i ragazzi e i preadolescenti. Prendendo spunto dal titolo del convegno (Come vasi di creta. La qualità della relazione educativa per dare forma alla vita), mons. Crociata ha segnalato quanto il tema “sia non solo importante per il vostro servizio associativo, ma anche in profonda sintonia con il cammino di tutte le nostre Chiese che hanno scelto di consacrare al compito educativo un’attenzione tutta speciale nei prossimi anni”. “Davvero l’educazione si decide all’interno di un complesso di relazioni interpersonali – ha aggiunto il Vescovo -, la cui qualità incide non poco su effetti e risultati nella maturazione delle persone”. In tal senso Crociata ha affermato che “il patrimonio di esperienza e il vasto campo di servizio svolto dall’Acr rappresentano una delle risorse più preziose per tutte le nostre Chiese”: nell’Acr “si apprende che la vita cristiana è incontro con il Signore e tra fratelli; si apprende la vita cristiana in modo consapevole, convinto, ma pur sempre all’interno e nella forma di una esperienza di incontro condivisa, poiché la fede cristiana è vivere col Signore tra fratelli”. Il Segretario generale della Cei ha poi inteso trasmettere “qualche preoccupazione e speranza” sull’argomento, partendo da una constatazione riferita all’ambito di specifico impegno e dedizione tipico dell’Azione cattolica ragazzi: “Senza nulla togliere alle difficoltà e alle potenzialità di tutte le fasce generazionali del processo educativo, una sfida non poco ardua è lanciata dalla fascia dei preadolescenti, che segna un passaggio generazionale e culturale cruciale nel processo di formazione”. La “delicatezza del compito educativo”, misurato “in maniera particolare dai primi accenni del passaggio adolescenziale, rende evidente la necessità di educatori” a cui si richiedono specifiche “caratteristiche e qualità”. Fra i molteplici requisiti, Crociata ne ha segnalati tre. Innanzitutto l’esigenza di essere prima di saper fare: essere “persone mature”, “veri credenti”, perché “non si può dare ciò che non si ha”, ovvero “non si può educare a ciò che non si è; non si possono condurre altri verso una maturità non sperimentata e raggiunta da parte di un adulto, di un educatore, di un animatore”. In secondo luogo, mons. Crociata ha ricordato che “educare è una vocazione, una chiamata a servire il progetto più alto che si possa immaginare: formare la persona, far crescere credenti. Perciò non può essere un lavoro a tempo parziale, anche se si deve dedicare un tempo più o meno limitato a specifiche attività educative”. Si può essere “veri educatori se si vive sempre come se ci fosse qualcuno da condurre verso una forma compiuta di vita, se si vive sempre secondo quell’ideale di maturità umana e cristiana a cui si vuole orientare coloro che vengono affidati alle nostre cure. Educare non è un mestiere o peggio un passatempo; educare è una missione”. Ma se è una missione, “educare non può essere impresa solitaria”; essa “è opera comunitaria, ha come orizzonte l’intreccio di relazioni interpersonali, si svolge all’interno di alleanze educative che coinvolgono soggetti e comunità”. “Abbiamo toccato con mano un clima di grande sintonia che ha animato il convegno e il forte desiderio di offrire un prezioso contributo riguardo il tema dell’emergenza educativa” dice Mirko Campoli, responsabile nazionale dell’Azione cattolica ragazzi. Stilando un bilancio dell’incontro Acr, sottolinea alcuni passaggi dell’intervento “illuminante” di mons. Crociata e “la ricchezza degli spunti offerti” dai diversi relatori. “Portiamo a casa tre consegne importanti – spiega -. Un rinnovato impegno a qualificare sempre di più il nostro servizio verso i più piccoli, offrendo un contributo non solo all’interno delle realtà ecclesiali, ma a servizio di tutte le nostre comunità e del nostro paese”. Quindi la “ferma convinzione di continuare a curare la formazione dei nostri educatori, come testimoni della gratuità dell’amore di Dio”. Infine, la “volontà di abitare la fragilità, la crisi educativa e i limiti inevitabili della nostra azione educativa, senza cedere alla tentazione di mollare di fronte a queste difficoltà, ma con il desiderio di vedere in tutto questo lo spazio per manifestare ancora una volta che l’unico, vero, grande maestro è il Signore”.