Mi ha incuriosito l’articolo “L’umorismo di Dio” che Civiltà cattolica dello scorso giugno ha pubblicato, a firma di P. Salvini. L’ho letto con grande interesse; o meglio, ho solo cominciato a leggerlo con grande interesse, perché a breve, scornacchiato, ho dovuto arrendermi all’abissale profondità culturale che impregna l’articolo e lo rende indigeribile a stomaci normali, così come il rum impregna il babà e lo rende sconsigliabile per stomaci diabetici. Che profondità di cultura, questi Gesuiti! Salvini, come lo svitato della Tim, si muove agile fra Larivera, Zollner, Cucci, Castelli, Kirkegaard, Hugo Rahner, Huizinga, e io… cedo allo scoraggiamento.
Sì, io a suo tempo mi sono rammaricato del fatto che ci siano voluti cinque secoli perché un Gesuita venisse eletto Papa. Però quando è troppo, è troppo! Quando la cultura s’inabissa nel pozzo che l’ha generata (e un gesuita per definizione è un “pozzo di cultura”), un bipede che ragiona con tutt’e due i piedi a terra non riesce più a vederla. Succede anche alla povertà di certi Francescani miei amici: a forza di esaltarla come “altissima”, l’hanno persa di vista.
Con buona pace di P. Salvini, l’umorismo di Dio io l’ho visto in uno dei recenti fioretti di Papa Francesco. Un fioretto: il resoconto di un fatto reale, adeguatamente… fiorettato.
Eccolo. Uno degli ultimi venerdì pomeriggio, di quelli che Papa Bergoglio abitualmente dedica a una “speciale opera di misericordia”. Stavolta s’è fatto portare con un’auto anonima a Ostia, in uno dei sobborghi più anonimi tra gli anonimi sobborghi di Roma, in un condominio che nacque anonimo ma poi, oltre al nome, ha perso anche la faccia.
Arrivato, suona al primo campanello. Dentro Peppe fa la pennichella; sua madre Linda, che per l’ennesima volta sta tentando di far tornare lucida la pentola marrone scuro, gli grida: “A Pè’, va’ ’n po’ avvède chi cce cerca?”. Peppe va, apre. “A ma’, c’è er Papa!”.
Papa Francesco entra esattamente nel momento in cui mamma Linda lancia un “vaffa…” di dimensioni omeriche, mentre sul cielo di Ostia una nuvola anonima assume le fattezze inutilmente minacciose di Beppe Grillo. Il resto del fioretto lo immaginate
L’umorismo di Dio l’ho visto tutto qui, in questo incipit d’un ingresso papale di conio assolutamente nuovo.
Ricordate, tra gli ingressi del corteo papale in San Pietro, quelli che riprese la timida tv degli anni ’50. Riprese, commentò, magnificò. Le trombe che squillano argentee. La sedia gestatoria sotto il baldacchino ondeggiante. I flabelli che oscillano morbidi. I turiboli che fumano colonne di incenso. Il telecronista col cuore in gola, si spericolava a parlare di “uno spettacolo degno della maestà di Dio”. Gnaffe. Quel telecronista non sapeva nulla dell’umorismo di Dio.