Tra poco tempo La Voce celebrerà il 60° anno di vita. Il primo numero uscì il 13 febbraio 1953. Con molta intelligenza e anche genialità, mons. Elio Bromuri ha portato questa pubblicazione alla vera dignità di un settimanale informato e gradevole. L’Ordine regionale dei giornalisti ha insignito, giustamente, il nostro direttore di una targa-premio alla carriera (trenta anni).
L’inizio non fu così. Mentre nell’epoca leonina (a fine Ottocento) i cattolici vantavano un giornale importante, Il Paese, con la tempesta modernista il silenzio regnò a lungo. Alla diocesi di Perugia furono vietate pubblicazioni periodiche; le fu solo concesso in occasione del Congresso eucaristico del 1926. Tuttavia non si rinunciò a qualche sporadica pubblicazione da parte di singole associazioni.
Intanto esisteva a Perugia una rivista, La Voce di Maria, che affrontava svariati argomenti, ma negli anni tra il ’40 e il ’50 ignoravamo chi l’avesse pubblicata; sapevamo che nelle facoltà di Lettere e Storia era ricercata affannosamente perché raccontava episodi non solo ecclesiastici ma anche civili del primo ventennio del secolo.
Chiostro e inchiostro
Tuttavia noi perugini nel dopoguerra pensammo subito ad una pur modesta pubblicazione; questo ci fu facilitato dal fatto che nel chiostro antico della cattedrale con l’ingresso da piazza Cavallotti (dove furono celebrati cinque Conclavi, tra cui due celeberrimi: quello di Celestino V e quello di Bonifacio VIII; per di più in questo luogo Onorio III concesse l’indulgenza del Perdono a san Francesco) in un locale molto modesto si trovava la tipografia Panti.
Nel 1947 o ’48 il Seminario di Perugia acquistò questa tipografia, e comincio a servirsene per tutte le sue pubblicazioni. Sono gli anni in cui l’arcivescovo Giovanni Battista Rosa (1922-1942) dette un impulso straordinario alle vocazioni ecclesiastiche che negli anni ’50 fornirono di un parroco tutte le parrocchie della diocesi, anche piccole.
Il rettore del seminario Fabio Italiani, che fu il più zelante collaboratore di Rosa, fondò un piccolo giornale che poteva facilmente stampare ogni mese nella tipografia del Seminario. Gli stessi seminaristi degli ultimi anni di Teologia potevano lavorarci sostenuti prima da Panti poi da Frenguelli e da un “proto” molto intelligente e attivo, Nello Orselli, per cui possiamo considerare questo giornalino il primo lavoro giornalistico della nostra diocesi.
Monsignori scrittori
Su questo foglio scrivevano mons. Bruno Frattegiani, poi arcivescovo di Camerino, che vi sostenne una polemica con un’altra pubblicazione di Rieti perché le due città si contendevano il primato del primo seminario, prima che lo imponesse a tutte le diocesi il Concilio di Trento.
Vi scriveva poi con interesse anche economico mons. Fabio Italiani, il rettore, che vi pubblicava l’opera delle Zelatrici del seminario (Maria e Gaetana Brunelli) che avevano creato collaboratrici per sostenere le vocazioni ecclesiastiche in tutta la diocesi.
Questo periodico dava notizie del Seminario, rendendo conto non solo delle offerte ma delle uova e di altri alimenti raccolti nella diocesi in favore del Seminario, e la cronaca si allargava un po’ ovunque
Quasi subito venne a tutti l’idea di stampare un altro periodico intitolato L’aratro, che aveva il compito di rispondere alle accuse, alle polemiche, insomma alla battaglia che in quel periodo il Partito comunista infliggeva alla Chiesa.
Finalmente uscì un periodico vero che trattava di tutti gli argomenti, naturalmente anche questo non lontano dalle battaglie tipiche del dopoguerra italiano e perugino.
Il peso, la responsabilità e la redazione di questo nuovo giornale, su cui scrivevano persone di pregio e cultura, fu assunto dai giovani dell’Azione cattolica giovanile sotto la guida del prof. Ferruccio Chiuini, allora studente di Medicina.
Tra i lettori: Pio XII
Quasi tutte le diocesi dell’Umbria, che allora erano 14, avevano un giornalino. Il più interessante era La Voce cattolica di Città di Castello, dove erano ricercati con gusto gli articoli di mons. Pietro Fiordelli, divenuto poi vescovo di Prato.
Il settimanale capitò sul tavolo di Papa Pio XII che si impressionò dell’articolo di fondo di mons. Fiordelli che diceva così: in Umbria le cose non vanno bene, anzi vanno male. Il Papa ricorse ai rimedi ordinando un risveglio nella regione con un grande convegno di tutte le associazioni cattoliche.
Tuttavia questi giornalini, compreso il nostro, avevano una difficoltà enorme, quella economica, perché la diffusione del giornale era difficile e i costi anche nel dopoguerra erano altissimi. I responsabili delle pubblicazioni diocesane si incontrarono e decisero di riunire sotto una pubblicazione sola tutti i giornaletti, facendone uno molto più complesso in formato, e battagliero.
Perché il nome “La Voce”
Siccome il giornale più quotato era quello di Città di Castello, La Voce cattolica, ci si accordò su questo come titolo, ma alcuni consigliarono di togliere l’aggettivo “cattolica” e così è da 60 anni. Il primo direttore fu appunto Fiordelli, pur molto impegnato nella sua attività di vicario generale, ma dopo un paio d’anni dovette lasciare perché nominato vescovo di Prato.
Si dette alla redazione mons. Antonio Berardi di Fossato di Vico ,che purtroppo trasformò il giornale in una raccolta di offerte e rosari da mandare alle missioni. Questo non piacque a molti, e cominciarono delle difficoltà per il proseguimento delle pubblicazioni, che pur avevano acquistato quote non indifferenti. Si susseguirono vari direttori, incoraggiati dagli interventi di vari Vescovi regionali. Le difficoltà economiche continuavano perché anche allora, mentre si concedeva il prezzo politico ai grandi giornali, ai piccoli giornali alla stampa minore non si dava nessun sussidio.
La attuale gestione
Per queste difficoltà, alcuni Vescovi, scoraggiati, volevano sospendere questo prezioso mezzo di apostolato; ma i responsabili sacerdoti e laici fecero molte pressioni perché il giornale non cessasse. Fu così che, trent’anni dopo, La Voce tornò sotto la diretta gestione dei Vescovi umbri, che per l’impulso di mons. Cesare Pagani la rinnovarono affidandola all’attuale direttore mons. Elio Bromuri, che firmò il suo primo editoriale il 1° gennaio 1984.
Sarebbe troppo lungo raccontare le vicende di questa che fu veramente un’avventura, ma ci risolviamo di scrivere altre cose riguardanti questo settore pastorale della buona stampa, che rimane un’arma preziosa per diffondere la dottrina, la morale della dottrina di Cristo.
A solo titolo di curiosità, il sacerdote americano Filippe Paolucci, costretto a stare in Italia per motivi di studio, si affezionò molto al settimanale. Mentre studiava, aiutò nel ministero don Feliciano Tinarelli, parroco a Ferro di Cavallo. Ritornato in patria, esigeva il giornale, e una volta ringraziando dichiarò: è un giornale piccolo, La Voce, ma io mi ci informo delle cose principali del mondo, delle cose principali d’Europa, dei fatti principali d’Italia, della vita di Perugia, e anche di quello che avviene a Ferro di Cavallo!