È tradizione che la quarta domenica di Pasqua, il cui Vangelo propone ai neofiti la figura di Gesù come buon pastore che ha dato la vita per il suo gregge, sia giornata di preghiera e di riflessione per le vocazioni presbiterali. Il pastore per principio è buono con il suo gregge, perché esso è la fonte del suo benessere e della sicurezza economica per la sua famiglia. Ha tutto l’interesse quindi a portare il gregge a pascolare dove c’è buon foraggio, fresco e profumato, e a difenderlo dai lupi rapaci che vivono di preda. Per questo si fa sempre accompagnare da un cane che fiuta in anticipo il pericolo e corre in difesa del gregge, se attaccato, o a richiamarlo all’ordine, se si sbranca o smarrisce la strada. Il pastore assiste al parto delle pecore madri e le aiuta, e porta tra le braccia l’agnellino appena nato ancora debole per camminare. Solo il mercenario non ha queste attenzioni, perché è mercenario e gli interessa più la paga che il gregge.
I profeti e Gesù stesso usano spesso l’immagine del pastore e del gregge, dell’ovile e del suo accesso. In una parabola, ad esempio, Gesù dice di sé d’essere la porta dell’ovile che non consente accessi ai rapinatori (Gv 10,1-7). Questa immagine ha fatto sì che sia tradizione parlare in questo giorno di coloro che il Signore sceglie come pastori del suo gregge (vescovi e sacerdoti), della loro quantità e qualità perché rispondano alle attese e alle esigenze delle pecorelle. Di solito anche il Papa indirizza un messaggio sulle vocazioni alla comunità cristiana. Quest’anno c’è anche una maggiore sensibilità, essendo l’Anno sacerdotale indetto in coincidenza con il 150° anniversario della morte del santo Curato d’Ars. A dire il vero, la questione s’è fatta in questi giorni particolarmente pesante per gli scandali che interessano alcune diocesi del mondo.
Già Joseph Ratzinger, quando era ancora cardinale, aveva denunciato genericamente i peccati della Chiesa, parlando di sporcizia al suo interno. Ora, da Papa, è intervenuto severamente su uno specifico peccato per il quale c’e stata disattenzione o troppa indulgenza nei superiori, chiamati peraltro anche a vigilare e a prevenire fatti di questo genere. Sentiamo il dovere di partecipare a questa sofferenza collettiva della Chiesa, pregando per chi ha sbagliato e per le vittime di questi peccati. Preghiamo però anche per la santificazione dei nostri sacerdoti perché siano canali che lascino passare grazia di Dio, e abbiano una condotta integerrima nei tempi difficili che viviamo. Preghiamo anche per chi aveva responsabilità e forse non ha vigilato adeguatamente.
Vada in particolare la nostra gratitudine a Benedetto XVI, verso il quale è stata aizzata una canizza velenosa e umiliante, che sa di precostituito e di deciso da “poteri forti” per altri motivi. E preghiamo anche perché, in questa stagione di crisi delle vocazioni, il Signore non lasci mancare testimoni e profeti nella sua Chiesa, e ci doni sacerdoti santi come il Curato d’Ars, ministri che “ascoltano la voce di Gesù” e non quella dei sensi, e “seguono” con particolare dedizione gli esempi di Gesù e i moniti della Chiesa, soprattutto in tempi di urgente bisogno di santità anche eroica. Pensando alla lettura dell’Apocalisse, è da auspicare che anche i sacerdoti e i consacrati siano quei personaggi biancovestiti di cui ha parlato Giovanni, con le palme del “martirio bianco” (cioè senza spargimento di sangue, ma pur sempre martirio…) tra le mani, passati indenni attraverso la grande tribolazione della sensualità, dell’orgoglio, del denaro, della cupidigia di potere.
Preghiamo perché anche coloro che hanno sbagliato rendano candide le loro vesti nel sangue dell’Agnello, riparando il male compiuto e chiedendone anche pubblicamente perdono alle vittime e a santa Madre Chiesa, da loro imbrattata di fango. Abbiamo ascoltato poi nella prima lettura le fatiche di Paolo e di Barnaba, ed insieme la diffusione della parola di Dio in tutta la regione dell’Asia Minore, nonostante la specifica persecuzione “delle pie donne di alto rango e dei notabili della città”. La Parola di Dio, come sappiamo, è il seme da spargere a profusione, e la persecuzione è, per un cristiano, l’acqua che fa germogliare il seme; lo scandalo dei benpensanti è come una gelata, uno tsunami, un terremoto che rovina ogni buon raccolto. A Paolo e Barnaba non rimane che “scuotere contro di loro la polvere dei piedi”, e andare verso i pagani, dai quali la Parola sarà meglio accolta e porterà frutto.