Domenica delle Palme – 5 aprile 2020
“Osanna al Figlio di David” è l’inno che introduce la celebrazione della Domenica delle Palme, è anche il canto che l’assemblea in cammino intona dopo le parole del sacerdote che dice: “Imitiamo, fratelli carissimi, le folle di Gerusalemme, che acclamavano Gesù, Re e Signore, e avviamoci in pace”.
Con i rami di ulivo, processionalmente si entrava in chiesa, iniziando così la Settimana Santa, accompagnata dall’ascolto della Passione del Signore proclamata ben due volte: la domenica e il Venerdì santo. Un rito caro alle nostre comunità. Quest’anno lo dovremo interiorizzare vivendolo nelle famiglie all’ascolto della parola (qui le letture della Domenica), lasciandoci aiutare dalle immagini ma anche da un particolare atteggiamento spirituale.
La grande settimana
Questa domenica che precede la Pasqua è chiamata dai liturgisti “la grande settimana”, segnata dal mistero del dolore che si arresta al Sabato santo in attesa della Pasqua. Possiamo chiamarla anche “settimana di passione” a motivo non solo della doppia lettura dei testi evangelici della passione, ma anche a motivo ascolto dei quattro canti del Servo di YHWH, definiti del “Servo Sofferente” tratti dal profeta Isaia.
Una “colonna sonora” che non crea certo distonia con il contesto che stiamo vivendo. Se qualche volta ci viene da dire: “Dov’è Dio”, questa domenica di risponde: “È qui in mezzo a noi”, egli ha fatto il suo ingresso nel mistero del dolore, affinché noi non perdessimo la speranza. Gesù entra a Gerusalemme, accolto con canti festosi, esultanza di popolo, al grido “Osanna” (Mt 21,9). Ma i canti di festa si tramutano, di lì a qualche giorno, come ci racconta il vangelo della passione, in urla rabbiose che lo condannano a morte (Mt 27,22-23).
La folla è uno degli elementi caratteristici delle vicende narrate in questo lungo Evangelo. Dapprima la folla (Mt 21,8) riconosce in Gesù il profeta di Nazareth (v. 11) e l’inviato del Signore (v. 9), poi sempre la folla si erge a giudice in tribunale davanti a Pilato che commette il più grande “peccato di omissione” della storia lavandosi le mani (Mt 27,34). La folla farà da corteo a Giuda che si reca da Gesù per l’arresto, mandata dai sacerdoti e dagli anziani del popolo, armata di bastoni (Mt 26, 47); ad essa Gesù si rivolge chiedendo una spiegazione riguardo a questo atteggiamento, mai emerso quando nei giorni precedenti era al tempio e insegnava (v. 55).
Chissà, quanti sono passati dagli “applausi a Gesù” al grido di condanna!
Quando il testo parla della folla, compaiono sempre i sacerdoti e gli anziani in veste di “suggeritore occulto”. La sua azione trasforma le individualità in viltà, sfruttando la semplicità popolare che degenera in “populismo”. La folla diviene allora l’amplificatore dei peggiori istinti dell’uomo.
Qual è l’atteggiamento di Gesù, di fronte alla sua condizione di indagato, accusato, arrestato ed infine di condannato? Il processo di piazza della folla, il processo del sinedrio, sembrano dominare sull’imputato, ma è in realtà Gesù a dominare la situazione. È Lui che decide, Lui stabilisce l’ora e il giorno della condanna e della sentenza. È Lui che decide di non difendersi con una schiera di angeli al suo comando, quando toglie la spada a chi voleva difenderlo dall’arresto (Mt 26, 52-53).
Il bene ed il male
Il Vangelo della Passione evidenzia, anche, lo scontro decisivo tra il bene ed il male. L’atto d’amore supremo di Gesù genera l’odio più profondo e sembra concentrarsi proprio negli ultimi eventi della vita di Gesù. In Lui sembra esserci la consapevolezza che si sta “giocando” la partita decisiva. Il male a sua volta concentra tutta la sua potenza, per trascinare nell’abisso il progetto della salvezza.
“Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello” ascolteremo nella Sequenza di Pasqua, ma il combattimento, nella logica umana, non ha la certezza della facile vittoria. Il male ha la forza di trascinare l’uomo nelle tenebre e se non si scorge il piano inclinato che il Principe delle Tenebre ha preparato. Il degrado raggiunge l’abisso del male e l’uomo si costruisce il suo inferno.
Il duello ha un vincitore apparente.
La morte sembra avere l’ultima parola, ma essa “è stata ingoiata per la vittoria” ci ricorda san Paolo (1Cor 15,54). La vita ha ricollocato la morte nell’ambito del provvisorio, grazie al circuito dell’amore che troviamo espresso nel Vangelo della Passione: l’Eucarestia, il Getzemani, la Croce.
In quell’ultima Cena che Gesù trasforma nella prima del tempo nuovo, egli esprime l’atto d’amore nel dono di sé, è la sua consegna ai suoi discepoli e lo spezzare il pane che è il suo corpo, anticipa l’evento della croce. Un atto d’amore compiuto nell’intimità di una tenerezza corrisposta.
L’uscita verso il Getzemani, segna la tappa dell’amore, messo alla prova dal dolore dell’abbandono. La ferita interiore del dubbio penetra in profondità, ma il tutto si conferma con la fiducia totale che si fa abbandono tra le braccia del Padre. La croce diviene ormai il talamo nuziale, dove consumare quell’amore indissolubile con l’umanità, già fatto proprio e confermato. Le ferite del male, che hanno segnato l’intimo della volontà e del cuore di Gesù, sono ora visibili sul corpo ormai donato. La croce diventa una sorta di rito esplicativo, del supremo atto d’amore celebrato.
San Tommaso tradurrà nell’Adoro te Devote questo “sovrapporsi” di immagini: il corpo sfigurato di Cristo sulla croce, e il Corpo di Cristo che è l’Eucaristia: “sulla croce era nascosta la sola divinità. Ma qui (nell’eucaristia) è celata anche l’umanità”. La fede in entrambe ci salverà.
don Andrea Rossi