Per molti di noi sacerdoti il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, rappresenta un data importante dell’esistenza, l’anniversario della ordinazione presbiterale. È del tutto lecito e spontaneo, per un giornale come il nostro, fare gli auguri ai preti dell’Umbria, in gran parte nostri lettori e sostenitori. Dobbiamo anche ringraziarli per il servizio che svolgono nella società. In un recente incontro il relatore metteva in evidenza che al prete si rivolgono spesso richieste che nulla hanno a che fare con la sua vocazione di annunciatore del Vangelo. La gente ha molti problemi, bisogni e preoccupazioni di carattere terreno, pratico. Si presentano richieste di aiuto economico da parte di veri poveri e di altri che fanno l’accattonaggio per mestiere. I preti ne sono le prime vittime e spesso si trovano assediati senza scampo. Altri chiedono un aiuto psicologico e morale, di cui si allarga il bisogno, e si prospetta un cristianesimo terapeutico che porti sollievo ai disagi e malesseri interiori. Sentirsi bene con se stessi è un’esigenza diffusa, alla quale offrono risposte anche gruppi religiosi che si muovono fuori dell’area cattolica. Il sacerdote, per quanto gli è possibilie, non si tira indietro orientando la richiesta nell’alveo della fiducia in Dio e nella sua Parola. Egli sa che nel dolore e nella disperazione la forza dello Spirito del Signore può portare uno spiraglio di luce. Un amico psichiatra mi confessava tempo fa: ‘Quando viene da me una donna che ha perduto un figlio suicida, io che cosa posso dire e fare?’. Per chi conserva un legame con la Chiesa e ve ne sono ancora molti, la parrocchia appare come una stazione di servizi religiosi collegati con la vita, la nascita, la morte, la malattia, il matrimonio, i riti dell’iniziazione cristiana con le relative ricadute nel profano. Il prete appare come un funzionario, che svolge una funzione sociale rilevante, che risponde ad un bisogno presente in ogni uomo. Anche in questo caso, che da taluni è valutato con supponenza e disprezzo, il prete, oltre che essere un amico, degno di fiducia, porta la ‘Presenza’ nel concreto tessuto quotidiano della vita. Ad ognuna di queste richieste egli dà delle risposte senza però indentificarsi in nessuna di esse. Se aiuta il povero, non diviene un assistente sociale; se dà buoni consigli, non è uno psicologo; se celebra le funzioni sacre, non è un cerimoniere soggetto ad una ritualità rigidamente codificata. Nella sua persona vi è un’eccedenza che si manifesta solo a chi sa leggere al di là dello schermo protettivo esteriore. L’eccedenza che proviene dall’incontro personale con Cristo, che ha segnato e sostiene la loro vita. Questa fede essi intendono portare nella vita concreta degli uomini e delle donne in mezzo ai quali vivono, come uno di loro. Per questo, anche quando svolgono azioni lontane dalla loro specifica missione, non sono mai lontani dal nodo con il quale si sono indissolubilmente legati al loro Maestro. Il mio primo ricordo di un prete, è quello di una partita a pallone in un campo sportivo, la prima con un vero pallone di cuoio. Ma don Giovanni non era un allenatore, né un compagno di giochi. In un recente funerale di un parroco una ragazza, rivolta ai sacerdoti ha detto: ‘Voi piangete un confratello, ma io ho perduto un padre’. Se questa eccedenza viene meno, allora si ha la crisi. Ma, anche in questo caso, la società non dovrebbe mancare di rispetto e della gratitudine che merita.
La vita del prete tra la gente
AUTORE:
Elio Bromuri