Il Signore nel brano precedente a questo che ascoltiamo questa domenica ci viene presentato come Colui che sta davanti: “camminava davanti a loro (Mc 10, 32) ed essi – aggiunge il Vangelo – erano stupiti”. Gesù manifesta apertamente ai discepoli che a Gerusalemme sarebbe stato consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi e che questi lo avrebbero condannato a morte. In qualche modo siamo quindi introdotti nello stato d’animo del Signore, nei sentimenti, nelle emozioni, nel travaglio interiore che egli sta vivendo. Una sofferenza che non vuole vivere da solo, ma che cerca di condividere con gli amici più cari. Nello stesso tempo, con questo suo “camminare” incontro alla “sua ora” ci dà la misura dell’amore, che non è certo un’emozione o un sentimento, e nemmeno si ferma a un trasporto interiore, ma è una scelta precisa di bene fatta esercitando una delle facoltà “divine” che Dio ha posto nell’uomo: la volontà. Tutto questo fa da introduzione al brano che ascolteremo. Nel contesto appena presentato, viene offerta alla nostra attenzione, per poterla meditare, la sconsiderata quanto umanissima richiesta dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni: non si vergognano di manifestare la loro ambizione a sedere nella gloria del Signore in un posto d’onore. Oggi, a distanza di duemila anni, sappiamo bene che il trono di gloria del Signore Gesù è la croce, e che a destra e a sinistra di essa si sarebbero trovati due sconosciuti malfattori, ma il gruppo dei discepoli al momento ancora no. Istintivamente ci viene spontaneo prendere le distanze e giudicare l’iniziativa dei due “figli del tuono”, ma il Vangelo sembra sottolineare principalmente il disarmante atteggiamento di Gesù, così disponibile e paziente. Anziché rimproverare, lui che “ben conosce ciò che abita nel cuore dell’uomo”, coglie l’occasione al volo per annunciare ancora quale sia la logica di Dio. Eppure quanto dolore avrà suscitato questa richiesta nel suo cuore, visto che è sorta tra due dei suoi amici più cari, con i quali aveva condiviso tutto. Ancora non avevano capito.
Uno dei due è proprio il “discepolo che egli amava”, lui che sapeva guardare al di là, vedere oltre, dentro le cose e gli avvenimenti. È lui che dopo la Passione corre insieme a Pietro verso il Sepolcro e, entrando nella tomba “vide e credette”; è lui, che dopo la risurrezione, mentre pescavano, riconosce il Signore sulla riva; ed è ancora lui che, reclinando il capo sul petto di Gesù, sembra cercare di vedere dentro il cuore stesso di Dio. Giacomo invece è colui che insieme a Pietro e Giovanni aveva vissuto in prima persona i momenti più “forti”con Gesù: era lì, nella stanza in cui giaceva morta la figlia di Giairo, le sue orecchie hanno ascoltato la voce di Gesù che teneramente diceva talità kum e i suoi occhi hanno visto la ragazzina risvegliarsi. Era presente sul monte della Trasfigurazione. Nonostante tutto, non avevano ancora capito… Cosa impariamo da questo episodio? Non ci riconosciamo un po’ tutti in questo gruppo di persone? Non sono forse troppo spesso così le dinamiche sottese alle nostre relazioni, e che a volte “muovono” i nostri atteggiamenti all’interno dei gruppi ecclesiali? Non scopriamo, anche attraverso la nostra esperienza, che tendiamo istintivamente ad attaccarci a qualsiasi forma di potere? Ciò che ci muove ogni giorno non è la ricerca della nostra affermazione? Di essere riconosciuti, cercati, di emergere sugli altri? In famiglia e nel nostro ambiente di lavoro, quanto ci rimane difficile lasciare un ruolo che ci è stato affidato o che ci siamo in qualche modo conquistati, obbedire a qualcun altro, vedendo magari scartata una nostra proposta… La tentazione di spingere gli altri verso il basso per sentirci, noi, più in alto, è sempre in agguato. Tuttavia Gesù ci ama come siamo e non si scandalizza della nostra miseria, non si stanca di indicarci con chiarezza la sua logica. Se ogni giorno ascoltiamo la sua voce (ad esempio leggendo il Vangelo che la Chiesa propone nella liturgia), ci conduce a un martirio quotidiano, che nulla ha da invidiare a quello di chi ha dato la vita per lui. Si tratta di andare contro il mondo, di rinunciare ogni giorno al nostro amor proprio, e di mettere gli altri al centro. Il mondo ci vorrebbe spingere a trascorre la vita cercando di diventare “qualcuno”, invece Gesù ci vuole condurre in un percorso inverso: impiegare tutta la vita per imparare a essere “nessuno”. Maria, ti chiediamo di aiutarci in questo cammino di sequela; insegnaci a servire Dio e a ripetere con te: “Eccomi, sono la schiava del Signore”.