Dei Verbum, n. 13: “Nella sacra Scrittura, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta la mirabile condiscendenza dell’eterna Sapienza, affinché possiamo apprendere l’ineffabile benignità di Dio e quanto Egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia contemperato il suo parlare.
Le parole di Dio infatti espresse con lingue umane, si son fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile all’uomo”.
È lo stesso stupore del Natale, allora: Dio si è fatto come noi – canta la liturgia – perché noi potessimo diventare come lui! Dio parla le nostre parole perché noi potessimo imparare a parlare le sue.
E così, tra tutte le parole che gli uomini parlano e ascoltano – quelle quotidiane, e quelle dei “maestri” -, può trovare spazio quella che viene dal Cielo. È la risposta alla preghiera del Salmo: “mostraci il tuo volto, Signore!”.
È come il passaggio di Dio nella vita del profeta Elia, quando, rifugiato nella grotta, sentì il fragore del vento e dell’uragano, e alla fine “il sussurro di una brezza leggera” (o “un sottile suono di silenzio”, come alcuni traducono in 1Re 19,9 ss).
È il desiderio espresso nella poesia di Mario Luzi (1914-2005):
“Non startene nascosto
nella tua onnipresenza. Mostrati,
vorrebbero dirgli, ma non osano.
Il roveto in fiamme lo rivela,
però è anche il suo impenetrabile nascondiglio.
E poi l’incarnazione si ripara
dalla sua eternità sotto una gronda
umana, scende
nel più tenero grembo verso l’uomo, nell’uomo… sì,
ma il figlio dell’uomo in cui deflagra
lo manifesta e lo cela…
così avanzano nella loro storia”.
“Questo processo di traduzione del messaggio divino in umano giunge fino al punto di far sì che le parole dette da Dio all’autore ispirato possono legittimamente arrivare all’uomo in veste di parole dell’uomo (ebraico, aramaico e greco) e proporzionatamente tramite le lingue attuali dell’uomo; quel che Dio non ha disdegnato di fare, non possiamo sottovalutarlo noi” (Paolo Martuccelli, teologo).
Quando si parla di “traduzione”, sappiamo bene che non è una questione solo linguistica, di termini, ma di concetti e di messaggio.
Se è vero che Gesù promette di rimanere con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi; e dona lo Spirito alla Chiesa perché le ricordi e le insegni ogni cosa, allora si può parlare di “aggiornamento” – un termine così caro a Papa Giovanni, e al Concilio, che è stato accolto in italiano così come nelle altre lingue.
Un po’ come le indicazioni sugli spartiti di musica.
Quanti esempi di questo procedimento! Che non è il “relativismo” da cui ci mette in guardia Papa Benedetto, come se non ci fosse più una “stella polare” nella rivelazione. È invece l’unico modo perché la Parola del Cielo si immerga nella nostra terra, nella storia concreta che ogni generazione sta vivendo.
Esempio: il mito della creazione era interpretato come dominio dell’uomo sulla natura; la traduzione per il nostro oggi la offre la Laudato si’ del Papa. Le differenze delle culture (e delle religioni) sono diventate “ponti, e non muri” nell’enciclica Fratelli tutti. Parleremo “lingue nuove”!
“Luce ai miei passi è la tua parola, Signore” canta il Salmo. La luce è dono suo, i passi sono la nostra stupenda fatica quotidiana: mai da soli!