Il Signore regna: esulti la terra, nubi e tenebre lo avvolgono”: è una delle espressioni con cui il Salmista descrive la maestà del Signore che questa domenica 6 agosto, Festa della Trasfigurazione del Signore, ci viene quanto mai additata in tutto il Suo splendore così come il linguaggio umano e la simbologia possono fare. Dopo una serie di domeniche in cui la Parola di Dio ci ha fornito criteri ‘comportamentali’, oggi ci fa sostare per contemplare la teofania sul Tabor come a voler venire incontro alla debolezza dell’essere umano che, a volte, ha bisogno di segni particolari della presenza del Signore.
Questo può essere anche il motivo per cui la Liturgia per ben due domeniche nell’anno ci fa meditare l’evento della Trasfigurazione che abbiamo già riflettuto lo scorso 12 marzo, ma che ha da proporci sempre spunti nuovi perché la Parola di Dio non è un libro per la sola lettura, ma per la sua applicazione contestualizzata alla quotidianità di ciascun credente. Intanto la prima lettura, tratta dal Libro del profeta Daniele ci fa assaporare la suggestività della gloria del Signore.
Composto con molta probabilità durante la terribile persecuzione di Antioco Epìfane, ovvero prima del 164 a. C., il Libro di Daniele assolve la finalità di incoraggiare i giudei a mantenere viva la fede pur tra gli oltraggi e le ingiustizie. E di lì a poco gli israeliti assisteranno alla potenza divina perché sarà restituita loro la libertà religiosa e il Tempio sarà purificato e ‘dedicato’ nuovamente al Signore, Dio d’Israele. Ma prima che avvenga tutto ciò l’Autore annuncia “venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo”. Il titolo “figlio d’uomo” (ar. Bar enash) è preceduto dalla particella comparativa ‘come’ (che in italiano è stata tradotta con ‘simile’) ed allude ad una figura d’uomo che tuttavia dimostra di avere una condizione superiore a quella umana. Inoltre il “figlio d’uomo” si fa avanti con “le nubi del cielo”, elemento che rimanda alle grandi manifestazioni divine del Sinai. Quindi la vittoria a cui allude Daniele è sì quella che sopraggiungerà grazie all’impresa bellica di Giuda Maccabeo, ma soprattutto quella a cui anela ogni giudeo che ha fede nel Messia del Signore che inaugurerà un’era definitivamente pacifica e gloriosa.
Di questo ‘anticipo’ profetico hanno gustato tutta la bellezza e la grandezza i tre favoriti apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul Monte Tabor o, meglio, “su un alto monte” (anche perché è la tradizione cristiana ad aver identificato il monte con il Tabor). “Sei giorni” prima della Trasfigurazione Gesù ha annunciato per la prima volta ai discepoli la Passione (16,21-23) e lo farà una seconda volta non appena ritornati in Galilea dal Tabor (17,22-23). L’annuncio della Passione, non è disgiunto da quello della Risurrezione e sull’“alto monte” Gesù viene ‘trasformato’ (passivo teologico), ed appare brillante nel volto come il sole e candide nelle sue vesti come la luce. Come è stato per il “figlio d’uomo” di Daniele, anche qui è presente la nube ma fornita di un elemento in più che conferma autorevolmente l’origine divina: “la voce dalla nube”. La tradizione rabbinica considera il caso che in occasione di ricevere ‘conferme’ Dio stesso voglia farsi presente. Narra il Talmud babilonese che in merito ad una interminabile diatriba legale tra Rav Eliezer e Rav Yoshua, intervenne a risolvere la questione una voce dal cielo: “La halakà è in accordo con lui (Eliezer) in tutto” (Baba M. 59). È la garanzia che il Signore è accanto agli uomini e, nello specifico, con gli apostoli che dovranno affrontare lo scandalo dello Croce. Già qui sul Tabor Gesù intima loro: “non temete!”: dopo la Croce, c’è la Risurrezione.
Questo hanno vissuto e creduto gli apostoli perché, domandiamoci: avrebbero affrontato persecuzioni e martirio se non avessero provato di persona la gloria del Signore? Ecco quindi che S. Pietro (o chi per lui) nella seconda Lettera, parlando di sé e degli altri discepoli, e rivolgendosi a coloro che hanno accolto il Vangelo garantiscono di aver “fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza”. Favole “artificiosamente inventate” si rifà polemicamente ai maestri dello gnosticismo che creavano speculazioni gratuite per fondare le loro teorie. Pietro risponde a ciò proponendo non teorie, ma fatti che lui e gli altri discepoli hanno assistito di persona. Le tre Letture di questa domenica ci invitano perciò a percorrere due tappe: dalla contemplazione dei segni che il Signore dà nella vita del credente alla missione evangelizzatrice. Come è stato per i giudei al tempo di Antioco Epìfane, come lo è per gli apostoli dopo la trasfigurazione, anche per il cristiano di sempre c’è il passaggio attraverso le prove che però non hanno la meglio! I giudei hanno rivisto il Tempio nel suo splendore, gli apostoli hanno adorato Cristo risorto. Quindi già in vita si sperimenta la gloria del Signore, ma il Signore stesso ci esorta a non fermarci lì e ci dice: “Alzatevi e non temete!”.