Vedere Gesù è il desiderio di ciascun uomo, che lo sappia o meno. Quello che i greci dicono a Filippo è ben interpretato da quanto scriveva Agostino: “Il nostro cuore è fatto per te, Signore, ed è inquieto finché non riposa in te”. Nella nostra scena, però, c’è molto più che l’espressione di un sentimento umano verso Dio: si tratta infatti, come ormai molti studiosi ritengono, di un brano che nasconde una prova di Gesù, forse addirittura la sua tentazione più grande, così come viene espressa dal quarto Vangelo.
Bisogna infatti partire dalla strana risposta che Gesù dà ai greci: “Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora?” (Gv 12,27). Queste parole richiamano la scena, raccontata dai sinottici, dell’agonia nel Getsemani. Ad esempio, sia qui sia in Mc 14,35 si parla di un’ora che è giunta: “Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora”; in Giovanni Gesù dice “L’anima mia è turbata”, come in Mc troviamo “La mia anima è triste fino alla morte” (14,34). Nelle due scene, poi, Gesù si rivolge al Padre, chiedendo aiuto ma abbandonandosi infine alla Sua volontà: “E diceva: Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36).
Ecco perché, allora, con così tanti punti di contatto, negli anni ’40 qualche studioso definì la scena giovannea di oggi come la tentazione di Gesù nel Quarto Vangelo. Ma perché la prova definitiva di Gesù, quella davanti alla futura croce, ha luogo proprio dopo l’invito dei greci? E chi sono, questi? Certamente non facevano parte del popolo dell’Alleanza: anzi, nel Nuovo Testamento questi sono spesso opposti ai giudei (come in Rm 1,16). Potrebbero essere proseliti, ovvero pagani attratti dal monoteismo etico della religione ebraica, che si erano fatti circoncidere, ma più probabilmente anche solo simpatizzanti non circoncisi, che osservavano lo shabbat.
Per questa ragione, pur rinunciando al politeismo, non potevano portare le offerte al Tempio. Risiederebbe allora qui la ragione per cui questi greci non possono avvicinarsi a Gesù, e lo devono far chiamare da Filippo, un apostolo che, per il suo nome greco (come quello di Andrea), forse parlava la loro lingua. Gesù allora si doveva trovare dentro il recinto del Tempio di Gerusalemme, dove invece gli stranieri – come appunto i greci – non potevano entrare. A segnare questo spazio riservato agli ebrei vi era infatti una balaustra (conosciuta anche dallo storico Giuseppe Flavio) che riportava delle scritte, ancora oggi conservate a Gerusalemme e Istanbul, che recitavano così (in lingua greca, per essere comprese dai non ebrei): “Nessuno straniero penetri al di là della balaustra e della cinta che circonda lo hierèn [= zona del tempio riservata]; chi venisse preso in flagrante sarà causa a se stesso della morte che ne seguirà”.
Quale interesse dovevano avere questi greci nel cercar di vedere Gesù? Forse erano rimasti impressionati da quanto questo rabbi aveva fatto. Giovanni infatti narra, poco prima della nostra scena, che Gesù entra a Gerusalemme trionfante, acclamato re d’Israele, e noi sappiamo che, dopo essere entrato a Gerusalemme, Gesù ne purifica il Tempio (anche se, come abbiamo visto nel Vangelo di due domeniche fa, Giovanni parla di questo episodio all’inizio del suo Vangelo). Forse, però, i greci erano rimasti colpiti soprattutto da un particolare. Marco, raccontandoci della purificazione del Tempio, ci riporta le parole di Gesù, che “insegnava loro dicendo: Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti?” (Mc 11,17).
Gesù sta citando il profeta Isaia, al cap. 56,7, dove il profeta aveva previsto che il Tempio di Gerusalemme non doveva essere un luogo esclusivo per il culto di Israele, ma era stato pensato da Dio come luogo per tutti, cioè anche per gli stranieri. Pur non contestando l’elezione del popolo dell’Alleanza, Isaia aveva capito che Dio, attraverso Abramo e i suoi discendenti, voleva essere il Dio di tutti i popoli. Ecco la citazione completa da Isaia: “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,6-7).
La prova di Gesù ha luogo, dicevamo, proprio quando sente che alcuni stranieri lo cercano. Non sappiamo esattamente cosa gli sia accaduto. Forse Gesù è stato tentato di lasciar perdere la sofferenza e il calice della croce, di non far cadere il suo chicco in terra, di raggiungere subito lo scopo della missione. Lo scopo della missione di Gesù era infatti quello di annunciare il regno anche ai pagani, ma senza tralasciare i giudei: ma Gesù sapeva anche che avrebbe potuto farlo solo morendo per gli uni e per gli altri.